Descrizione
Com’è l’infanzia in una città di mare negli anni Trenta? Giochi di strada, l’onnipresente pallone, le figurine, qualche “rappata” (si puntava l’albero di frutta giusto, e poi quando il contadino si distraeva un attimo… via! a riempirsi la pancia e la maglietta di quello che si riusciva a prendere), attaccarsi al trolley, e anche raccogliere il letame dei cavalli delle carrozze per concimare i vasi della mamma. Il padre di Mario è ferroviere e rifiuta di prendere la tessera del fascio, il che crea complicazioni e sospetti. Ma la gente è solidale: il quartiere è a forte presenza operaia (la fabbrica è l’Ilva). E fra tutte le immagini che arrivano dal passato, ecco l’episodio dell’incontro con il prigioniero libico, che gli fa capire di avere sete, e allora Mario, sfidando le ire dei carcerieri, gli porta una tazza saltando sul predellino del treno, l’uomo beve d’un fiato, guarda il ragazzo e gli sorride. E Mario quel sorriso non lo ha più dimenticato. Ma è un sorriso che prelude alla tragedia della guerra, con l’aereo “Pippo” che ogni giorno fa la sua capatina, i bombardamenti tragici, l’esperienza della morte degli amici e l’allontanamento momentaneo dall’amata Savona. Poi la ripresa: prima lavoretti presso piccole imprese, poi l’ingiustizia del licenziamento, il servizio militare, l’impegno nel Pci, il lavoro all’Ilva, l’assunzione nel corpo dei vigili urbani, le lotte per i miglioramenti salariali e per la sicurezza nel lavoro (lo stato sociale!). E la memoria infine porta alla lotta contro il terrorismo (Savona è stata città più volte massacrata dalle bombe, e nella rievocazione di quei momenti, e dell’impegno del sindacato e delle forze della sinistra, il racconto si fa intenso) e la mobilitazione per il terremoto dell’Irpinia… E la conclusione: «È assieme agli altri che si entra nella storia: in quella prodigiosa storia dell’umanità, dove giorno per giorno si raccoglie anche quello che gli altri hanno lasciato».
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