Sanità, le risorse stanziate e le criticità del decreto rilancio

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Tre miliardi e 250 milioni di euro per il Servizio sanitario nazionale e 9.600 nuovi infermieri. È quanto prevede il “decreto rilancio” sul fronte della sanità. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le misure e se i fondi stanziati rispondono alle richieste delle parti sociali.

Oltre alle risorse, il decreto prevede un rafforzamento della rete territoriale e l’istituzione della figura dell’infermiere di famiglia. Attualmente in Italia gli assistiti a domicilio (persone con più di 65 anni) sono il quattro per cento, ovvero 610.741. Le nuove misure farebbero salire la percentuale al 6,7 per cento, per un totale di 923.500 persone, ovvero lo 0,7 per cento in più della media Ocse, pari al 6 per cento.

Per le persone con meno di 65 anni è previsto un rafforzamento delle misure di assistenza domiciliare: con il decreto si passa dai 69.882 assistiti, pari allo 0,15 per cento della popolazione under 65, a 139.728, pari allo 0,30 per cento.

Viene inoltre potenziata l’attività di sorveglianza attiva in tutte le regioni e le province autonome a cura dei dipartimenti di prevenzione, in collaborazione con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Viene disposto l’incremento dei controlli nelle residenze sanitarie assistite (RSA), anche attraverso la collaborazione di medici specialisti.

C’è poi il capitolo fondamentale delle cosiddette Usca (alle quali LiberEtà ha dedicato un approfondimento nei giorni scorsi). Si tratta delle Unità speciali di continuità assistenziale che dovrebbero supportare i servizi di assistenza domiciliare e garantire dunque una medicina di prossimità, spostando il baricentro dalle strutture ospedaliere al territorio.

Con la stessa logica è pensata la figura dell’infermiere di quartiere, appunto per potenziare l’assistenza domiciliare integrata ai pazienti in isolamento domiciliare e ai soggetti cronici, disabili, con disturbi mentali o in situazioni di fragilità: otto infermieri ogni 50mila abitanti, anche a sostegno delle Unità speciali di continuità assistenziale.
Viene aumentata, con dieci milioni di euro, la disponibilità del personale infermieristico a supporto degli studi di medicina generale, per fronteggiare l’emergenza.

C’è poi il capitolo del monitoraggio, che avverrà attraverso l’uso di app di telefonia mobile. In questo modo si dovrebbero poter coordinare meglio i servizi d’assistenza necessari ai pazienti, che saranno dotati anche di saturimetri per misurare i livelli di ossigenazione del sangue al fine di individuare subito eventuali peggioramenti. In questo caso si provvederebbe subito a una tempestiva ospedalizzazione. Perché questo sistema funzioni, bisognerà attivare centrali operative regionali, dotate di apposito personale e di apparecchiature per il telemonitoraggio e la telemedicina.
Si prevede inoltre la possibilità di individuare strutture territoriali di isolamento per ospitare pazienti che abbiano bisogno di isolamento o quarantena o quelli dismessi dagli ospedali.

Il decreto prevede il potenziamento della rete ospedaliera con 3.500 posti di terapia intensiva in più e 2.112 di terapia semintensiva. Inoltre, si aggiungono 300 posti letto di terapia intensiva suddivisi in quattro strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno. Questo porta la disponibilità di terapie intensive a 11.091 posti letto di terapia intensiva, + 115 per cento rispetto alla disponibilità in pre-emergenza. Nel decreto ci sono anche i cosiddetti “Covid Hospital”, cioè ospedali dedicati, proprio per evitare che i nosocomi misti possano facilitare e moltiplicare il contagio. Stesso discorso per i pronto soccorso, che verranno ristrutturati e riorganizzati.

Ma qual è il bilancio che il sindacato dei pensionati della Cgil fa di queste misure? Lo Spi è stato in prima linea nel chiedere più tutele per le persone non autosufficienti e gli anziani, i più colpiti dal coronavirus. Pensiamo solo alla situazione delle rsa e da quanto tempo lo Spi denunciava l’assoluta mancanza di controllo in cui le residenze per anziani stavano agendo all’inizio dell’emergenza, e non solo. I risultati di comportamenti scellerati sono sotto gli occhi di tutti. Per questo il sindacato si è affrettato a studiare le misure previste nel decreto dando un giudizio articolato.

“Di sicuro è apprezzabile la previsione di un potenziamento dell’assistenza territoriale”, dicono al Dipartimento socio-sanitario dello Spi Cgil. “Sono importanti gli interventi presso le strutture residenziali per anziani, verso i pazienti in isolamento domiciliare ma anche verso chi è più vulnerabile: soggetti cronici, disabili, con disturbi mentali, con dipendenze patologiche, non autosufficienti, e in generale con fragilità”. Vengono apprezzati l’istituzione della figura dell’infermiere di famiglia e il reclutamento di medici e anche di assistenti sociali. “Per noi è importante anche la previsione di finanziamenti aggiuntivi non solo per la remunerazione del lavoro straordinario ma anche quelli destinati anche ai fondi per le particolari condizioni di lavoro del personale e a quelli incentivanti, come pure i quasi cento milioni di euro per le borse di studio degli specializzandi di medicina dal 2021 al 2024”.

Dunque, un giudizio positivo. Ma il sindacato sottolinea come le misure adottate dovrebbero essere rese strutturali oltre l’emergenza. È qui che si gioca la partita del decreto, non solo sul fronte della sanità ma anche su tutti gli altri capitoli del decreto. “Bisogna aumentare stabilmente il Fondo sanitario nazionale, da troppo tempo sotto finanziato”, si legge nel documento di commento al decreto pubblicato dal sindacato dei pensionati Cgil. “Bisogna vincolarlo per rendere prioritario il rafforzamento della rete dei servizi socio sanitari territoriali e di prevenzione, e un recupero della grave carenza di personale. Ciò ovviamente riguarda anche l’utilizzo dei fondi europei”. Resta poi il capitolo aperto dell’aumento del budget a favore delle strutture private utilizzate per la gestione dell’emergenza. “Bisognerà controllare e valutare attentamente i modi in cui avverrà questo aumento”, conclude il documento.

Ma c’è un altro capitolo strategico, quello della non autosufficienza. I sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil da anni chiedono che venga rifinanziato. Lo Spi, in particolare, chiede a gran voce da molto tempo una legge quadro che ancora però non si vede all’orizzonte.

L’aumento del fondo è pari a 90 milioni di euro per l’anno 2020. Di questi, venti sono vincolati alla realizzazione di progetti per la vita indipendente. Altri venti per l’incremento, del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare “Dopo di Noi” Infine, ci sono quaranta milioni di euro per istituire il nuovo Fondo di sostegno per le strutture semiresidenziali per persone con disabilità per coprire i costi dovuti all’adozione di sistemi di protezione del personale e degli utenti.
Si tratta di risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate ai due fondi strutturali ma secondo i pensionati della Cgil occorre mettere in evidenza un elemento molto importante: “In entrambi i casi gli aumenti sono finalizzati alle specifiche finalità che il decreto ha esplicitato e che le regioni dovranno quindi rispettare nel momento del riparto delle risorse”, spiegano dallo Spi Cgil.

Per il sindacato dei pensionati dello Spi Cgil le misure sulla non autosufficienza sono assolutamente poche. “Se non si adotta immediatamente una legge quadro nazionale non metteremo mai a sistema questo capitolo fondamentale di tutela dei soggetti più deboli”, dicono dallo Spi Cgil. “La legge è necessaria. Serve a costruire un nuovo sistema di sostegno alla vita autonoma, un nuovo equilibrio a favore delle soluzioni di vita e di assistenza a domicilio (a casa propria o in co-housing), compresa una riqualificazione del lavoro di cura delle badanti, una radicalmente diversa organizzazione delle strutture residenziali e semiresidenziali”, conclude la responsabile del dipartimento socio-sanitario.

Dunque, misure importanti, senza dubbio. Ma che non possono essere sporadiche né semplicemente emergenziali. Serve una cornice, una visione di lungo raggio, perché gli interventi urgenti diventino sistemici e contribuiscano a rafforzare il nostro sistema sanitario in maniera duratura.