Fase 2, l’appello dei medici: rafforzare la medicina di territorio

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«Oltre ai dispositivi di protezione e ai tamponi chiediamo di rafforzare il territorio, il vero punto debole del Servizio sanitario nazionale». Centomila medici di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri scrivono, attraverso i social, una lettera aperta al Ministro della salute, Roberto Speranza, e ai governatori delle Regioni. Dopo due mesi di scambio di informazioni sull’insorgenza del Coronavirus, su come contenere la malattia, su come orientare la terapia e quando iniziare i trattamenti, i firmatari dell’appello sono giunti a una conclusione: i pazienti con sintomi riferibili al Covid-19 vanno trattati il prima possibile e sul territorio, prima dell’esplosione della malattia conclamata, ossia della polmonite interstiziale che conduce alla terapia intensiva e anche al decesso. I medici in prima linea contro il virus chiedono «tamponi, dispositivi di sicurezza e l’attivazione immediata delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), in tutte le regioni, in maniera omogenea e senza ostacoli burocratici nel prescrivere farmaci, tamponi, ecografie polmonari e raggi X a domicilio».

Ma cosa sosa sono le Usca? Ufficialmente operative dalla metà di marzo, poiché istituite con decreto legge, le Unità speciali di continuità assistenziale, Usca, sono una sigla che potrebbe diventare ben nota a tanti malati di Covid-19 e alle loro famiglie. Sono piccole squadre, composte da un numero di medici, infermieri e operatori sociosanitari pari a quello delle normali guardie mediche. Entro 10 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto del 9 marzo 2020 avrebbero dovuto essere costituite in ogni regione, una ogni 50.000 abitanti, e operare 7 giorni sul 7, dalle 8.00 alle 20.00. Il loro compito è affiancare il medico di famiglia e il pediatra di libera scelta nella cura dei contagiati dal Coronavirus che non presentano sintomi gravi e non hanno bisogno di essere ricoverati in ospedale. Questi malati però, come la cronaca insegna, devono essere costantemente monitorati perché le loro condizioni di salute possono peggiorare in modo repentino.

In alcune zone d’Italia, come l’Emilia Romagna, le Usca già operano efficacemente mentre in altre, soprattutto nelle regioni del Sud, devono ancora essere attivate. Come molti aspetti del Servizio sanitario nazionale dipendono dalle Aziende sanitarie locali e quindi dalla loro autonomia decisionale e organizzativa.

Il lavoro del personale Usca è a stretto contatto con i malati nelle loro case. Entrano nella sfera quotidiana della gestione della malattia. Il rapporto con il paziente e la sua famiglia non si esaurisce al termine della visita, prosegue mediante il triage telefonico fino a quando è necessario. I malati di Covid-19 in isolamento devono essere visitati in sicurezza e i medici di famiglia non sono stati dotati del kit di protezione. I controlli a domicilio possono essere molto rischiosi. Dall’inizio dell’epidemia hanno perso la vita 154 medici. Molti di loro erano medici di base.

Prima di iniziare la loro attività gli operatori Usca devono essere formati al corretto uso di tute, calzari, mascherine con filtri, schermi facciali e guanti. Le risorse per tutto ciò sono state stanziate e ammontano a 845 milioni di euro per il 2020. Il decreto ministeriale del 9 marzo oltre a nuovi incarichi per il personale sanitario a tempo determinato contempla «la possibilità di procedere al reclutamento di professionisti sanitari, anche dei medici specializzandi iscritti all’ultimo e penultimo anno, con incarichi di lavoro autonomo, anche co.co.co, della durata massima di 6 mesi, prorogabili a seconda del perdurare dell’emergenza per rendere immediatamente attuative le misure straordinarie».

Si potrebbe affermare che finalmente una norma di legge, seppure straordinaria, sta rafforzando la rete di medicina territoriale. Anni di disinvestimento nella sanità pubblica hanno depauperato la funzione del medico di famiglia e smontato i Dipartimenti di salute pubblica delle Aziende sanitarie locali, i veri registi della medicina prossimità. Dunque forse siamo sulla strada giusta e allora dovremmo impegnarci in questa direzione. Anche perché, conclude la lettera aperta dei medici, non dobbiamo sprecare gli sforzi fatti finora con il distanziamento sociale, «la mappatura dei pazienti asintomatici o paucisintomatici e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il lockdown».