Gli uomini e le donne, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano sintomi, progressione delle malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro. Da questa scoperta nasce la medicina di genere, cioè un approccio alla cura che tiene conto del fattore sesso delle persone.
Le differenze fisiopatologiche e cliniche tra i due sessi, al di là della patologia degli organi della riproduzione, fino a poco tempo fa venivano considerate un fattore secondario della medicina. Oggi invece c’è un maggiore interesse in questo settore di studi, al punto che è nata una nuova disciplina medica: la medicina di genere. Diverse Regioni hanno previsto nel loro piano sociosanitario un capitolo su questa branca della medicina e dal 2007 è in vigore l’osservatorio nazionale sulla salute della donna. Questo fiorire di iniziative, norme e studi è stato favorito dal dato epocale, sempre più conosciuto, della differenza dell’aspettativa di vita nell’uomo e nella donna. Nell’ultimo secolo (1900) abbiamo assistito a due avvenimenti mai registrati nella storia conosciuta dell’umanità. Il primo è rappresentato dal quasi raddoppiamento dell’aspettativa di vita; il secondo dal fatto che questa “corsa alla sopravvivenza” è stata brillantemente vinta dal genere femminile.
La longevità. Attualmente in Italia l’uomo vive in media cinque anni meno della donna (80 i maschi, 85 le femmine). La differenza è veramente notevole tenendo presente che se venisse del tutto sconfitto il cancro, l’età media aumenterebbe di 2,5 anni. In passato, i motivi della diversa durata di vita nei due sessi erano in gran parte attribuiti a un diverso stile di vita (maggiore prevalenza del tabagismo e dell’alcolismo nell’uomo, stress nella competizione lavorativa nel sesso maschile eccetera). Mentre oggi la spiegazione che riscuote più credito è quella di tipo genetico, che attribuisce una minore vulnerabilità alla donna, rappresentante del vero sesso forte.
Le malattie. Anche se i fattori che determinano la longevità sono numerosi e non tutti ancora perfettamente identificati, non dovrebbe esserci alcun dubbio sulla validità dell’interpretazione appena riferita, tanto più che anche la mortalità infantile (quando i fattori ambientali non hanno potuto esercitare una grande influenza) è più elevata nel sesso maschile. Al di là dei problemi legati alla maggiore longevità della donna rispetto all’uomo, un altro settore di estremo interesse è dato dalla diversa epidemiologia di numerose malattie che riguardano i due sessi.
Le patologie a maggior prevalenza femminile sono l’osteoporosi, l’artrite reumatoide, la polimialgia reumatica, la depressione, la calcolosi biliare, la patologia tiroidea, l’anoressia, l’Alzheimer (con differenze minime rispetto all’uomo), la cefalea. In estrema sintesi possiamo dire che la donna è meno interessata dell’uomo da malattie ad alto potenziale di mortalità (vedi tumori e patologie cardiovascolari), ma presenta con maggiore frequenza alcune condizioni disabilitanti (osteoporosi, artrite reumatoide, instabilità posturale con più frequenti cadute) per cui pur vivendo di più, ha un periodo di vita attiva, rispetto alla vita residua, inferiore a quella degli uomini.
La cura di sé. Recenti osservazioni sulla salute nei due sessi mettono in luce una minore cura della donna verso se stessa, coinvolta com’è da una maggiore attenzione verso le sofferenze dei congiunti e più in generale del prossimo. In effetti l’80 per cento dei care givers, cioè delle persone che si prendono cura degli altri, è rappresentato da donne. Questa condizione può rappresentare un motivo di trascuratezza verso se stessi, ma potrebbe anche costituire, almeno in alcuni casi, una ragione di gratificazione e una ragione di contrasto verso il cosiddetto disadattamento senile.