Il 2 febbraio, primo di quattro appuntamenti dedicati all’invecchiamento attivo. Iniziativa promossa da Spi Cgil Genova con Palazzo Ducale, Auser, Universita’ di Genova e ITT che sul tema lanciano il manifesto “Per un nuova cultura dell’invecchiamento” . Si comincia alle ore 17.45 con “Anziani ieri, oggi, altrove” a cura di Antonio Guerci, professore di Antropologia dell’Universita’ di Genova.
Viviamo nel bel mezzo di una rivoluzione demografica che riguarda proprio tutti. Da un lato, aumenta dell’età di vita, è uno straordinario successo dell’umanità, dall’altro cala il numero di nuovi nati, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. La concomitanza dei due dati sta producendo un progressivo invecchiamento della popolazione. Quali conseguenze economiche e sociali avrà questa “nuova era”? Come dobbiamo attrezzarci? Come ci immaginiamo tra 15-20 anni? Se con il boom demografico degli anni ’60 servivano asili e scuole per bambini, oggi è più che mai urgente intervenire per far sì che tutti possano imparare a invecchiare bene. Prevenire malattie adottando stili di vita corretti, ripensare le città per garantire autonomia di movimento, quanto siamo consapevoli di tutto ciò? E, soprattutto, cosa si sta facendo?
Per contrastare la tendenza a rimuovere il problema, a Genova, la città più vecchia d’Europa, c’è chi ha dato vita a un manifesto “Per un nuova cultura dell’invecchiamento”, che verrà presentato prossimamente, introdotto da una serie di incontri. Il documento ha raccolto adesioni di figure di primo piano del mondo culturale, sociale, scientifico. Primi firmatari sono Luca Borzani, Lorenzo Caselli, Alessandro Cavalli, Alberto Diaspro, Antonio Guerci, Roberta Papi, Stefano Poli e Claudio Regazzoni, cui finora si sono aggiunti oltre un centinaio di adesioni. “Non abbiamo nuovi paradigmi culturali che facciano assumere questo profondo mutamento non solo come parametro statistico ma come ripensamento complessivo del nostro vivere civile, delle relazioni fra le generazioni, dell’organizzazione delle città” si legge nel manifesto “I giovani sono socialmente invisibili e la vecchiaia è rimossa, ricondotta a stereotipi negativi e pregiudizi o alla logica medico-assistenziale. Un grande spreco sociale. È tempo di cambiare passo. Genova può essere laboratorio di una nuova cultura della vecchiaia e del rapporto tra generazioni per l’intero paese”.
«Quello che vogliano tentare – afferma Roberta Papi, della segreteria Spi Cgil di Genova e Liguria – è un progetto sull’invecchiamento attivo, costruire proposte più ricche e concrete da presentare alle istituzioni. Modellare, ad esempio, città e stili di vita a misura di anziano, coinvolgere sul tema ogni forma di conoscenza, dalla robotica all’architettura, senza dimenticare che tutto questo può rappresentare un’occasione di lavoro, anche qualificato, per tanti giovani che, invece, dalla Liguria e non solo, devono cercarlo all’estero».
«È in atto un mutamento sul quale non ci si interroga» osserva Borzani sul quotidiano Il Secolo XIX «e che non riguarda e non si esaurisce solo nelle realtà che si occupano specificamente di anziani. Ha senso affrontare in particolare questo tema a Genova perché è una delle città con il maggior numero di anziani. In alcuni quartieri della città la presenza degli ultrasessantacinquenni è pari al 35 per cento della popolazione residente».Una nuova cultura della vecchiaia, che è anche una nuova cultura per tutte le età della vita, rimanda a un’idea di cittadinanza che non si svuota con l’uscita dal ruolo produttivo ma trova le sue radici nella garanzia di un reddito dignitoso, nella cura, nella socialità, nella responsabilità verso le generazioni più giovani. Non basta prolungare la vita, occorre anche riempirla di senso”».
Degli anziani si ha un’idea spesso indistinta, una “utenza passiva”, e così, spiegano i promotori del documento, si perde il senso della centralità della persona, “delle sue capacità come delle sue necessità”. È un mondo variegato, in cui vi sono anziani che con la propria pensione oltre a essere generatori di consumi più dei giovani che hanno redditi inesistenti o inferiori, riescono anche a sostenere i propri nipoti (“Per questo essere “nonni” non è solo una questione privata, ma è un ruolo che non trova specifico riconoscimento sociale”), e altri che invece sopravvivono in condizioni di semi-indigenza. Il 42 per cento degli anziani in Italia riceve, secondo le statistiche, meno di mille euro al mese e su quattro milioni di poveri in Italia, la maggioranza è rappresentata da giovani e anziani.
Il cambio di passo sollecitato dal manifesto riguarda i servizi per gli anziani, la mobilità, la concezione stessa delle città e in generale delle politiche della salute: “È carente la prevenzione che contribuirebbe a ridurre i costi totali della sanità e non prevalere il principio di fondare la cura sulla capacità di autogestirsi, di mantenere i propri spazi di vita. La sperimentazione,anche tecnologica, per garantire una riduzione dell’ospedalizzazione o del ricovero è un orizzonte ancora tutto da praticare. Ma per farlo è necessario rompere con la logica burocratico-assistenziale”. Oltre tutto, «chi oggi ha compiuto settant’anni» osserva Borzani «ha vissuto la rivolta giovanile degli anni Sessanta e l’affermarsi di un paese moderno, una generazione segnata dalla speranza verso il futuro, che si trova oggi a vivere la vecchiaia in un mondo profondamente mutato».
Acquisire consapevolezza di questa situazione, cominciare a riflettere per poi agire, inventando nuove modalità – come una sorta di servizio civile per gli anziani o forme di convivenza “protetta” – è il primo obiettivo dei promotori del manifesto. «Dal pensionamento alla fine dell’esistenza trascorrono grosso modo vent’anni» osserva Borzani «È un periodo lungo quanto l’infanzia e l’adolescenza, è una considerazione che ci dovrebbe far riflettere».