Reportage: "Qui Radio Ucamara"

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A Nauta sulle rive del rio Marañón nel nord del Perù, incontriamo Leonardo Tello Imaina, direttore di radio Ucamara, e i suoi redattori. L’emittente parla ai campesinos e si batte per i diritti dei nativi, contro inquinamento e turismo selvaggio.

Radio Ucamara si trova proprio nel centro di Nauta, un piccolo paese sulle rive del rio Marañón nella regione di Loreto, nel nord del Perù amazzonico. Sta in un edificio a ridosso del fiume, con l’intonaco color pastello che si vede in lontananza, la scritta e il numero della frequenza, 98,7 fm, e in corsivo lo slogan “Stiamo vicini”.

Quando incontro il direttore Leonardo Tello Imaina, mi fa accomodare nel suo piccolo ufficio. «Arrivò il nuovo parroco, il padre agostiniano Cadena, e mi invitò a fare uno studio sulla storia e la memoria del mio popolo» racconta. Poi nel 2010 decise di passare dalla teoria alla pratica e di scrivere un piano politico, identificando i cinquantuno temi da trattare in venti anni. Tra i più importanti, le interviste ai testimoni dell’epoca del caucciù, un sistema schiavista che durò dal 1885 al 1915, il recupero della lingua, la violenza sessuale sui minori causata dal turismo e l’inquinamento petrolifero. Sangue misto kukama da parte di padre, achuar da quello di sua madre, molto legato al suo popolo, perché suo padre, oggi novantanovenne, fu uno schiavo all’epoca del caucciù, Leonardo perse sua madre per un tumore alla pelle per i danni causati dall’attività estrattiva, mentre il fratello Rusvel fu travolto da una nave della Pluspetrol e il corpo finì disperso nel rio, e un altro fratello è morto a revolverate di recente nel corso di una manifestazione. Quando la radio denunciò gli abusi sessuali sui minori fu minacciato tre volte di morte, e un giorno ricevette una telefonata che gli fece tremare i polsi: «Sappiamo dove vanno a scuola le tue figlie, stai attento». Al piano terra ci sono i locali della radio, la sala dove si trasmette e quella di registrazione, il suo ufficio, la grande stanza in fondo dove si riunisce la redazione. Leonardo mi presenta i suoi collaboratori.

Rita e Mary. Rita Mugnos, piccola e mora, un bel viso delicato e gli occhi scuri, conduce il programma della notte, con telefonate in diretta degli ascoltatori. I temi trattati sono quelli dei campesinos, le difficoltà che hanno oggi, la diminuzione del raccolto dovuta all’inquinamento del petrolio, ma anche le problematiche legate alla pesca nel rio, dove sono diminuite le specie di pesci: c’è stato un grosso calo del pescato ed è fortemente a rischio la salute degli abitanti. Mary invece è una giornalista che cura il notiziario del mattino. Si è occupata molto di prostituzione giovanile e tratta delle ragazze. «Nauta – racconta – è sempre stata un punto strategico perché venivano a prendere le ragazzine e con la scusa del lavoro, le portavano nel centro del Perù, a Madre de Dios, stracciavano le loro carte d’identità e le mettevano a battere sulla strada. La gente non aveva idea nemmeno di cosa significasse la parola tratta, e radio Ucamara fu la prima a spiegare alle gente cosa stava succedendo».

Maria e Josè. Più tardi, nel pomeriggio, vengono a trovarci Maria e Josè Emanuel, che curano i programmi dedicati alla lingua kukama. Li incontro proprio nella sala radio. Josè ha una faccia larga, capelli lisci neri tirati indietro, nella vita lavorava i campi come agricoltore, anche Maria era una contadina. Partivano la mattina alle cinque, arrivavano al podere alle sette, e lavoravano fino alle due del pomeriggio, poi tornavano a casa a piedi sotto il sole cocente. Coltivavano platano, ananas e patate. Josè dice che già alcuni di loro si erano messi insieme a Nauta, e si incontravano per parlare la lingua kukama. Nel 2008 Leonardo li ha portati alla radio. Erano in quattro e discutevano dei temi più svariati. Questo era un modo per ridare vita all’idioma, perché la cultura di queste popolazioni è solo orale, e una volta scomparso sparirebbe un’intera civiltà.

La reazione della popolazione locale in principio fu molto negativa, subirono molti attacchi, dicevano che era una radio di indios, di kukamas, di gente arretrata che doveva civilizzarsi e non meritava di prendere la parola, ma loro non mollarono. «Più tardi iniziarono ad apprezzare perché parlavamo anche delle piante medicinali che conoscevamo solo noi, e adesso le coltivano anche all’ospedale per farci delle medicine». Sono piante della selva. Una di loro, l’ajos, serve al rito propiziatorio per la pesca, l’estratto viene utilizzato per bagnare la canoa, la canna, gli ami e tutta l’attrezzatura da pesca, e portare a battesimo un nuovo pescatore. «Abbiamo iniziato a parlare cercando di ricordare lo sfruttamento e le ingiustizie che hanno subìto i nostri antenati al tempo del caucciù, il periodo della shiringa – spiega determinata Maria –. La gente, che non conosceva la lingua kukama, diceva di non capire di cosa parlavamo, era disorientata. Attraverso la radio ci stavamo riappropriando della nostra storia, e poi se non avessimo iniziato questo programma la nostra cultura si sarebbe persa». Le mani di Maria sono più esplicite delle parole, disegnano nell’aria un teatrino continuo che accompagna il discorso. «All’inizio pensavano che fosse una cosa obsoleta, perché dall’arrivo della scuola all’epoca del caucciù la lingua degli indios era proibita, dicevano che dovevamo civilizzarci e parlare lo spagnolo, c’era molto razzismo nei nostri confronti».

I problemi con i turisti. Nelle loro trasmissioni parlavano del lavoro nei campi, ma anche di avvenimenti politici, come quando il porto fu privatizzato e venduto alle imprese turistiche. Proprio a José accadde che, vivendo lungo le rive del rio Marañón, tenesse la sua canoa al bordo del fiume. Dopo la vendita sciolsero gli ormeggi e la lasciarono andare via con le correnti. «Ne parlai alla radio – dice – perché quando arrivavano, i turisti ormeggiavano le loro imbarcazioni e non c’era spazio per le nostre quando facevamo ritorno a casa dal lavoro, allora dicevo: per favore rispettate i nostri diritti». Cominciarono a interessarsene molto alla radio, e un imprenditore di origini italiane, che girava sempre armato, venne qua a minacciarli di morte.

L’apertura della scuola. Il momento più bello è stato quando quattro anni fa è stata aperta una scuola di lingua kukama gestita da radio Ucamara. Prima si sono iscritti bambini e ragazzini, ora è frequentata anche da adulti. La scuola non ha una sede fissa, le lezioni si possono tenere nei campi, nella piazza principale, sulle rive del fiume o vicino al porto.

Adesso la gente li ferma per strada, chiedono che la loro attività non si fermi. Mi dicono che qui in città parlano ancora spagnolo, ma quando vanno nei campi la lingua risorge, torna viva. Anche al porto, dopo le prime trasmissioni, la gente ricominciava a salutarsi in lingua kukama, fu uno dei primi effetti del lavoro della radio. Chiedo loro cosa rappresenti per una persona una lingua, cosa sia questo patrimonio. «Riparlare la lingua kukama per me ha significato vivere nuovamente», confessa José, mentre per Maria è come se si fosse sollevata dalla terra e ricongiunta con tutta la sua famiglia e i suoi antenati.