A pochi giorni dalla presentazione del Piano di rilancio della Commissione europea, in programma il 27 maggio, la proposta di Francia e la Germania di creare un Fondo da 500 miliardi per la ripresa, ha avuto l’indubbio merito di sparigliare un dibattito stucchevole tra Paesi rigoristi del Nord Europa ed economie del Sud.
Nella proposta franco-tedesca (appoggiata dal nostro governo) il fondo, finanziato da debito comune, avrebbe attivato risorse non sotto forma di prestiti ma, nelle intenzioni dei proponenti, finanziamenti a fondo perduto a vantaggio delle economie più colpite dall’emergenza.
Alla proposta ha risposto ieri la Commissione europea, rilanciando. L’ipotesi che dovrebbe essere il fulcro del Piano europeo, è la seguente: un fondo da mille miliardi che conterrà sia sovvenzioni a fondo perduto che prestiti.
La partita si annuncia difficile, per l’opposizione intransigente di paesi rigoristi come Austria, Olanda, Danimarca e Svezia. Ma l’Europa si muove, e non da ora per proteggere le economie continentali.
Già, perché il Fondo per la ripresa è centrale ma non è l’unica misura messa in campo finora dall’Ue. Da circa due mesi (in realtà anche da prima), l’Unione ha aperto sugli Stati membri il suo ombrello protettivo, con misure senza precedenti.
Se l’Italia ha potuto varare due decreti da 80 miliardi di euro, per far fronte all’emergenza, senza essere travolta dai mercati, lo deve quasi esclusivamente allo scudo dei programmi europei. Al Programma di acquisti asimmetrici messo in campo dal presidente della Bce Laguarde (e prima ancora al Quantitative Easing di Draghi); alle nuove possibilità di accedere senza condizioni al Mes per la spesa sanitaria e al Sure per la cassa integrazione.
O alla Bei, la Banca europea per gli investimenti, per finanziare industria e infrastrutture nel momento più incerto per l’economia dal dopoguerra ad oggi. Prima ancora ha giocato un ruolo chiave la sospensione del Patto di Stabilità.
Qui di seguito una sintesi ragionata delle azioni messe in campo dall’Ue fino a questo momento.
Sospensione del Patto di stabilità. È l’autorizzazione a spendere tutto ciò che serve a fronteggiare l’emergenza. La sospensione del Patto di stabilità ha consentito e ci consente di ricorrere agli ottanta miliardi in debito (25 più 55) per finanziare i due decreti Cura Italia e Rilancio. Con l’allentamento dei vincoli il nostro deficit passerà da 2,2 per cento a 11,8 per cento, secondo le stime di Eurostat, mentre il debito schizzerà dal 132,4 per cento al 158,9. Si tratta però di una sospensione, e quindi bisognerà vedere cosa accadrà dopo. Per la presidente della Bce Christine Lagarde, i criteri del Patto andranno rivisti (perché non più attuali) prima che tornino in vigore. La sospensione cancella anche le clausole Iva che, nella formazione del bilancio, l’Italia è costretta a seguire.
Aiuti di Stato. Vietati dai Trattati europei, è ora consentito agli Stati di intervenire per fronteggiare singoli casi di politica industriale nei quali bisogna tentare di evitare il tracollo e il fallimento di imprese rilevanti per le singole economie. La Germania ha già utilizzato la sospensione della clausola della legge di Stato per intervenire con capitale pubblico nella Lufthansa. La decisione di consentire gli aiuti è un preludio a una maggiore presenza dello Stato nell’economia, con la benedizione di Bruxelles? Il dibattito in corso non chiude a questa opzione ed è accaduto già nella storia dopo rilevanti shock economici: pensiamo al crollo di Wall Street nel ‘29 che aprì la strada al Keynesismo.
Fondi strutturali. Il nostro Paese ha accumulato ritardi nell’uso dei fondi previsti per il periodo 2014-2020, lasciando non spesi 14 miliardi. Ora l’Italia potrà usarli per far fronte alla drammatica situazione sanitaria.
Quantitative easing. La questione si era aperta con una gaffe dell’attuale presidente della Bce, che ha poi rimediato: stanziati 1100 miliardi per l’acquisto di titoli del debito pubblico. La Corte costituzionale tedesca ha sollevato di recente il dubbio che il quantitative easing della Bce non rispetti le proporzioni con cui i Paesi hanno partecipato al capitale della Banca. In effetti la Banca centrale ha acquistato finora il 30% delle nostre emissioni del 2020 (percentuale doppia rispetto al capitale sottoscritto). Ma potrebbe fermarsi e riequilibrare la nostra posizione.
Accanto a queste politiche l’Unione ha messo in campo anche nuovi strumenti.
Bei. La Banca europea degli investimenti (Bei) avrà a disposizione 200 miliardi per fronteggiare l’emergenza, finanziando la politica industriale e infrastrutture pesanti, cioè trasporti, strade, ponti, telecomunicazioni, energia.
Sure. Questo fondo da 100 miliardi finanzierà le politiche di emergenza per il mercato del lavoro, come ad esempio la cassa integrazione. Il nostro governo ha prenotato venti dei cento miliardi stanziati, cifra ritenuta congrua dalla Commissione europea.
Mes. Il terzo strumento è il Mes. Nel Sud Europa suscita brutti ricordi a causa delle durissime condizioni imposte alla Grecia dopo la crisi economica del 2008. Ma ora questa linea di credito, finanziata con 240 miliardi di euro per far fronte all’emergenza sanitaria, avrebbe una sola condizione: che i soldi siano effettivamente spesi per la sanità. L’Italia potrebbe attingere fino a 37 miliardi per interventi di questa natura.