LiberEtà omaggia i propri lettori pubblicando sul sito il libro di Domenico Aleotti, terzo classificato del Premio letterario di LiberEtà 2020, in sei puntate. Ogni mercoledì vi porteremo in una Maremma incantata tra ex minatori partigiani e fotografi di moda. Un mondo fatto di duro lavoro, saperi preziosi, lotte e conquiste. Storie di piccoli e grandi amori, amicizie, avventure e passioni politiche. Un viaggio pieno di emozioni.
(…) Fabrizio ascoltava, affascinato dalla profondità dell’ex minatore. «Senta signor Bartalucci, io comincerò domani mattina presto. Visto che troppo sole le dà fastidio, come alle mie macchine fotografiche, se è d’accordo la veniamo a prendere alle otto. È troppo presto?». Baldo sorrise: «Presto alle otto?». Fabrizio capì e gli chiese con tatto: «Ha qualche giacca o qualche camicia da farmi vedere?». Baldo capì che doveva anche truccarsi e volle andare incontro ai desideri del fotografo: «Ho capito, si fa come in teatro, ci si veste. Da ragazzo ho recitato nella filodrammatica del dopolavoro. Perché non viene a casa mia? Le fo’ vedé qualche cosa». Pensando di aver esagerato Fabrizio aggiunse: «Signor Ubaldo non vorrei disturbare troppo». «Guardi», disse Baldo, «noi si va a casa, si dice a mia moglie di preparare qualcosa, si beve un bicchiere e poi si guarda i vestiti».
Fabrizio, sempre più coinvolto, assentì: «Va bene facciamo come dice lei, mi porto la mia assistente che prenderà nota dei vestiti, ma soprattutto darà una mano a sua moglie». Baldo, incoraggiato dal franco e caloroso atteggiamento di Fabrizio, chiese: «Ma quel cane che teneva la ragazza di chi è?». «Ah, Buk, quello era il cane della mia ex moglie, un mio regalo dall’Alaska, non l’ha più voluto, siamo due abbandonati». Baldo, ridendo di gusto: «Eh, eh, le donne, quando decidono, decidono!».
Sulla stradina che scendendo dalle rocce taglia in due il borgo antico e divide le case, c’era la casa di Baldo. La moglie dalla porta aveva già visto la comitiva che stava scendendo con Baldo in testa. Arrivati davanti all’ingresso, Baldo si rivolse al gruppo: «Questa è casa mia, qui sono nato, come mio padre e mio nonno, e questa signora è mia moglie, Selene, figlia di pastori dell’Appennino. Erano sempre in viaggio, tutti gli anni, per la Maremma, poi io l’ho sposata e si è fermata qui».
La signora sembrò schermirsi davanti a tanta gente. Dal gruppo si era distaccata una ragazza che, rivolta a Fabrizio, chiese: «Posso prendere il cane?». A Baldo non era sfuggita questa proposta e, rivolto a Fabrizio disse: «Il cane può stare qui, in casa non dà fastidio». Baldo, rivolto verso Selene per cercarne l’assenso, intuì il silenzioso sì.
Nella casa c’era una cucina con i fornelli a carbonella, in muratura, con una grande cappa di rame, le sedie impagliate larghe e comode. Prima che la moglie iniziasse a trafficare, Baldo disse rivolto a Fabrizio: «Mentre le donne preparano, possiamo scendere» e fece cenno a Fabrizio di seguirlo verso una scala di granito che si apriva sotto la cucina. Era una grande cisterna etrusca, asciutta e fresca. Alle pareti c’erano scaffali di legno su cui erano appoggiati splendidi minerali. Cristalli, rocce luccicanti, tutti catalogati. Sapevano di passione e fatica, cercati e trovati nel fondo della miniera. Fabrizio era estasiato da quella splendida raccolta di gemme. Baldo, con espressione soddisfatta, guardando la sua collezione disse: «Bella, vero?». Fabrizio, incuriosito, rispose: «Ma come ha fatto a mettere insieme tutte queste pietre?». «Avevamo un circolo culturale noi minatori, ci scambiavamo i pezzi, poi si era in contatto tramite il sindacato con minatori francesi e anche più lontani». «Posso toccarli?», chiese Fabrizio. «Come no, in fondo sono sassi, ne spostavamo tonnellate», rispose soddisfatto Baldo.
Nella cisterna c’erano due poltrone, un lettino e una piccola lampada schermata. Seduti uno di fronte all’altro si guardarono, poi Baldo ruppe il silenzio: «Non può immaginare la fatica per spostare, scavare, puntellare, tutti i giorni, sempre più in fondo; la tortura del caldo, dell’umidità. Avevo un compagno di squadra, era andato a scuola fino alla quinta elementare, ma sapeva a memoria la Divina Commedia e tutti i giorni, quando con il montacarichi si portava nel ventre della terra, cominciava: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita… A certi dava fastidio, a me teneva compagnia, così l’ho imparata anch’io».
Il fotografo, incantato, disse: «Mi ha detto che soffre con gli occhi, come mai?». «Mi successe dopo dieci anni che ero in miniera, di notte mi svegliavo, mi pareva di avere fòco negli occhi, non volevo andare dal medico per paura di essere messo nei lavori esterni, fuori dalla miniera». Fabrizio, stupito, allora chiese: «Ma non sarebbe stato meglio?». «Meglio era meglio, ma i soldi erano meno, e io dovevo far studiare la figlia, che ora è in Siria a cercare vecchi muri, vecchi sassi, è una malattia di famiglia», aggiunse Baldo sorridendo, «ma lei è archeologa».
Fabrizio era entusiasta, felice di aver incontrato un uomo saldo, semplice e segnato dalle fatiche in miniera, ma ancora curioso e vivace. Ne seguiva i piccoli movimenti: tra la raccolta di minerali Ubaldo si muoveva come un esperto, li prendeva con gesti delicati e con lentezza. Quasi un lavorio di memoria: «Questa era del Brugi, che stava a Torniella, quest’altro pezzo l’ho trovato io». «Mi aveva detto che da giovane aveva recitato», aggiunse Fabrizio incuriosito. «Ci si provava – rispose Baldo – sembrerà strano ma la filodrammatica la dirigeva un prete, un brav’uomo che voleva bene ai minatori. Un anno facemmo il presepe dentro la miniera, portammo anche un bue, perché l’asinello era già là sotto: era il nostro segnale d’allarme, ragliava quando aumentava il gas e a quel punto partivano i ventilatori. Durante la guerra il prete si dette da fare per salvare i minatori di Niccioleta catturati dalle SS tedesche. Andò giù nella piana, al comando tedesco, a chiedere notizie e tornò con il volto tutto insanguinato. L’avevano picchiato. Con le SS a picchiarlo c’erano anche i repubblichini di Grosseto, ma lui non volle mai fare i nomi, non voleva vendette. Accadde tutto quando stavano arrivando gli americani. Tra quei poveri ragazzi di Niccioleta massacrati c’erano tanti amici miei, ma parliamo d’altro ché poi sennò sto male».
Fabrizio si era fatto cauto e silenzioso, sentiva di avere di fronte un uomo saggio e buono, che tanto aveva dato e poco aveva ricevuto. Baldo ruppe il silenzio commosso del fotografo: «In realtà si andava alla filodrammatica per stare un po’ assieme alle ragazze. In miniera si stava tra uomini, all’osteria pure. Per vedere qualche ragazza bisognava andare in chiesa, oppure recitare», concluse sorridendo. Fabrizio, divertito: «Ma non andavate a ballare?». «Sì due o tre volte all’anno, un po’ pochino per vedere le ragazze», rispose il vecchio divertito.
Fabrizio decise di spiegargli la scelta di volerlo sul suo set. «Le avevo detto che ero rimasto colpito dall’azzurro intenso dei suoi occhi, dalla sua solitudine tra quelle rocce, forse ho sbagliato a volerla nel nostro circo mediatico, però le dico che ho un’idea più bella. Quando avrò finito in America un servizio fotografico, vorrei tornare qui e fare un servizio solo per lei, come ho fatto con gli anziani minatori dei monti Appalachi in Virginia». Baldo ascoltò con attenzione, aveva capito che dietro il grande fotografo si nascondeva un animo gentile e attento. E allora per tranquillizzarlo disse: «Ma io sono contento, si guadagna qualcosina, in mezzo a tanta bella gioventù, se penso a quello che prendo di pensione…».
Dalla cucina si sentì trafficare. Piatti, posate. Poi dalla scala arrivò la voce di Selene: «Oh Baldo, ci vuoi fare la muffa lì sotto, monta che è pronto!». «Le donne, le donne, le pistoiesi poi», rispose Baldo avviandosi verso le scale.
(…)
La storia
Un grande fotografo di moda decide di realizzare un servizio fotografico sulle colline della Maremma. Ma mentre cerca di catturare gli sguardi più espressivi di ragazze e ragazzi bellissimi, viene colpito dagli occhi azzurri di un vecchio della zona, un minatore che ha passato gran parte della sua vita lavorando sotto terra e che ha combattuto durante la Resistenza. Aleotti ci racconta un mondo perduto fatto di duro lavoro, saperi preziosi, lotte e conquiste. Un viaggio nel passato denso e pieno di emozioni.
L’autore
Nato a Genova nel 1942. Ha lavorato per una vita come sceneggiatore cinematografico anche per la grande casa di produzione Gaumont guidata Renzo Rossellini e per importanti registi di fama internazionale. Con Rossellini ha partecipato alla fondazione di Radio Città Futura negli anni Settanta. Ha lavorato con Franca Rame e Dario Fo. Da trentacinque anni vive in Maremma. Da sempre motociclista, oggi gira in Vespa. Ha una biblioteca di più di ottomila volumi. È iscritto allo Spi Cgil, scrive racconti e collabora con Il Tirreno.