Legge 194. La strada in salita dei diritti

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Foto di Free-Photos da Pixabay

8 marzo. Una giornata ancora lontana dal poter essere festeggiata davvero. Nel nuovo numero di LiberEtà lo raccontiamo chiaramente: le disparità di genere sono ancora tante, troppe. La violenza sulle donne un problema ancora di portata enorme. La cultura patriarcale ancora troppo radicata e tristemente rafforzata in tempi recenti dalle forze populiste e xenofobe che vedono nella famiglia tradizionale un baluardo essenziale a difesa dei propri valori di riferimento.

Quale destino per i diritti delle donne? Molti, anche quelli che si pensava fossero definitivamente acquisiti, sono costantemente minacciati. Diritto all’aborto innanzitutto.

Siamo andati in Umbria e nelle Marche per vedere cosa sta accadendo su questo fronte. Due esempi che raccontano di un’Italia nella quale esercitare i propri diritti come donna non è affatto scontato.

A spiegarlo è Vilma Bontempo del sindacato pensionati Cgil Marche: “Il primo problema è che la Regione non applica le linee guida del ministero della salute che prevedono la possibilità di interrompere la gravidanza con la pillola Ru486 in day hospital. Di fatto questa strada è stata ostacolata in ogni modo e allo stato attuale è praticamente indispensabile ricoverarsi in ospedale per praticare l’interruzione di gravidanza che invece sarebbe stata pensata proprio per essere meno invasiva per le donne”.

La pillola abortiva nelle Marche viene usata pochissimo, spiega Bontempo. Proprio perché non ci sono le condizioni per utilizzarla. “E poi c’è il problema degli obiettori, che sono tantissimi. È evidente che siamo di fronte a una vera e propria offensiva contro la legge 194”. Vilma si riferisce all’orientamento della giunta regionale che sposa di fatto la tesi cosiddetta “pro life”. “Siamo tornati al medioevo per cui l’aborto viene visto come un omicidio. E poi non dobbiamo dimenticare il recente progetto di legge presentato in Regione da Fratelli d’Italia, a sostegno della famiglia. I termini del ragionamento sono quelli della famiglia tradizionale basata sull’unione di uomo e donna. Non c’è alcuno spazio per altre forme di famiglia. E questo per noi è inaccettabile”.

Attraverso la contrattazione territoriale il sindacato dei pensionati dialoga con le istituzioni per garantire il pieno esercizio dei diritti ai cittadini, soprattutto ai soggetti più deboli. Ma questa strada ora è praticamente interrotta. “Non c’è modo di dialogare con questa giunta. Abbiamo fatto tante iniziative, mobilitazioni, presidi. Ma la regione non ne vuole sapere. Noi continueremo a chiedere che vengano applicate pienamente le linee guida del Ministero della Salute”. Nonostante la pandemia, i territori si mobilitano. Prossimo appuntamento il 26 marzo con una manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil in difesa della 194. “Ovviamente anche il sindacato dei pensionati farà la sua parte”, conclude Bontempo.

La situazione è simile in Umbria. “Il problema è innanzitutto culturale”, secondo la segretaria generale dello Spi Cgil regionale Maria Rita Paggio. “Abbiamo organizzato molte iniziative in questi mesi, e ne faremo altre, coinvolgendo anche i ragazzi dell’Udu e della Rete degli Studenti perché è importante coinvolgere anche i più giovani in questo dibattito”. Il tema è culturale. E politico. “Siamo di fronte a un attacco frontale da parte della cultura patriarcale che viene interpretata dalle forze di destra”. Maria Rita Paggio non ci gira intorno. E chiama le cose con il proprio nome.

Per mesi la Regione Umbria ha obbligato le donne che volevano fare ricorso alla pillola Ru486 a ricoverarsi in ospedale per tre giorni. “Una misura che si appoggiava alla circolare del ministero della Salute che consentiva, ma certo non imponeva, il ricovero. Abbiamo chiesto che la circolare venisse cambiata, e così è stato. Eppure, la Regione Umbria ci ha messo molti mesi prima di adeguarsi alle nuove linee guida del ministero. E soltanto dopo molto tempo ha ripristinato la possibilità di impiegare la Ru486 anche in day hospital”.

Ma nel frattempo la Lega ha proposto una legge regionale che modifica il testo unico di sanità e servizi sociali. “Nella parte che riguarda la famiglia, la Lega sta imponendo la sua visione della famiglia. Si parla di famiglia e non di famiglie. E torna lo spettro di una donna con funzioni di cura e di un uomo con funzioni sociali di produzione”, spiega Paggio. Insomma, modelli vecchi e pericolosi che tornano a galla.

“Stiamo monitorando attentamente gli sviluppi. Anche se gli attacchi sono su più fronti”, prosegue Paggio. Infatti, anche per la 194 si cerca di smontare il sistema di diritti esistenti. I tanti obiettori presenti in Umbria fanno sì che le donne che vogliono abortire debbano andare in piccoli presidi ospedalieri ma non nelle due principali aziende sanitarie di Terni e Perugia. “Il servizio a livello regionale è garantito, ma è impensabile che non venga offerto negli ospedali principali, con conseguente disagio di tante donne”, spiega Paggio.

E poi c’è il problema delle associazioni sedicenti pro-life. “Si vorrebbero inserire dentro i consultori gli operatori delle associazioni pro-vita. E questo sarebbe gravissimo. Una pressione inaccettabile verso tante donne che si rivolgono al consultorio per cercare aiuto e supporto”, conclude la segretaria regionale dello Spi Cgil Umbria.

Quello dei consultori è un altro terreno difficile. “Abbiamo chiesto che il consultorio venga potenziato e non il contrario”, dice Oriana Casciani del coordinamento donne dello Spi Cgil Umbria. “Nel consultorio si fanno tante cose, utili agli anziani ma anche ai ragazzi”. Un altro tassello importante di medicina del territorio che rischia di essere smontato, pezzo dopo pezzo.