La primavera degli studenti

0
1970

Cinquant’anni fa i fascisti uccidevano il giovane studente Paolo Rossi. La morte suscita un’ondata di proteste che prelude al Sessantotto.

«Un tonfo, un grido di donna, un movimento ondeggiante, incerto, come di fuga all’inizio e poi di raccolta, di ressa, di spintoni, di domande, sotto il parapetto del palazzo, cento teste chinate verso terra, e in terra un po’ accartocciato, la faccia schiacciata al suolo, il corpo di un giovane». Riprendiamo da una cronaca de l’Espresso la ricostruzione di quel che accadde all’università La Sapienza di Roma in una bella giornata di primavera di cinquant’anni fa, il 27 aprile 1966. Il giovane disteso in terra è Paolo Rossi: diciannove anni, studente di architettura, militante socialista, impegnato quel giorno a distribuire volantini dei Goliardi autonomi, il gruppo degli universitari di sinistra.

Siamo alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del “parlamentino”, l’organismo di rappresentanza degli studenti, dove i gruppi di destra hanno la maggioranza. Ma il vento è cambiato e lo sanno bene i neofascisti che reagiscono sul terreno dello scontro fisico, con continue provocazioni, gazzarre e aggressioni a studenti isolati che incautamente esibiscono l’Unità o Paese sera. A essere presa di mira è in particolare la facoltà di lettere per la presenza di molti studenti e docenti di sinistra. Succede anche quel 27 aprile. I fascisti arrivano verso mezzogiorno e si lanciano contro gli studenti che stazionano sulle scalinate e nell’atrio di lettere, colpendoli con calci e pugni, a mani nude ma anche con micidiali tirapugni, mazze e cinghie. Alcuni testimoni diranno di aver visto Rossi, colpito da un pugno allo stomaco, stringersi le braccia al torace, prima di essere scaraventato giù dal muretto. Quando finalmente la polizia interviene non può far altro che caricare il corpo del ragazzo su una propria auto e trasportarlo all’ospedale.

L’occupazione. Gli studenti decidono l’occupazione della facoltà di lettere, ma nella notte, proprio mentre Rossi cessa di vivere, il rettore Giuseppe Ugo Papi chiama le forze dell’ordine e fa sgombrare la facoltà. Il mattino successivo gli ingressi della città universitaria sono presidiati dai lavoratori chiamati dalla Camera del lavoro e dai militanti dei partiti di sinistra, mentre all’interno si svolge un’imponente assemblea di studenti e docenti che delibera l’occupazione a oltranza. Nel pomeriggio arriva, per portare la sua solidarietà agli occupanti, l’uomo che incarna i valori della Resistenza: Ferruccio Parri. Intanto l’indignazione monta in tutto il paese accompagnata da forti polemiche. Ci si chiede perché la polizia non sia intervenuta tempestivamente ed emergono subito le responsabilità del rettore, un ex fascista che non ha rinnegato i suoi trascorsi e che da anni consente le scorrerie dei nuovi fascisti all’interno dell’ateneo romano. Papi prova a difenderli ancora una volta, trincerandosi dietro la ricostruzione fornita dalla questura, secondo la quale si sarebbe trattato di una semplice «rissa tra studenti» e Rossi sarebbe caduto in seguito a un malore. La stampa compiacente rilancia questa versione accreditando la voce che la vittima fosse soggetta a “improvvisi malesseri”, dovuti a un forte esaurimento nervoso o addirittura a epilessia.

La magistratura indaga invece per l’omicidio preterintenzionale, ma due anni dopo dichiarerà il non luogo a procedere perché gli autori delle percosse a Rossi sono rimasti ignoti. Il 30 aprile una folla immensa partecipa ai funerali dello studente che si svolgono nel piazzale della Minerva, alla presenza di Sandro Pertini, Pietro Nenni, Luigi Longo, Ugo La Malfa e altri leader politici. L’orazione funebre è pronunciata dall’italianista Walter Binni, uno dei cinquanta docenti che si rivolgono al presidente della Repubblica per denunciare «la situazione di violenza e illegalità che regna nella città universitaria, dove un’infima minoranza di teppisti che hanno fatto propri i simboli del nazismo, del fascismo, delle Ss e dei campi di sterminio, possono impunemente aggredire studenti e professori che non condividono metodi e idee appartenenti al più vergognoso passato, e condannati dalle leggi di tutti i paesi civili». A questo punto il ministro della Pubblica istruzione scarica Papi, che il 2 maggio è costretto a dimettersi: «L’unico mio torto – reagisce l’ex rettore – è stato quello di aver sempre cercato di ostacolare i professori di sinistra». Il giorno dopo l’assemblea plenaria degli studenti, docenti e rappresentanti del personale non insegnante vota la fine dell’occupazione.

La mobilitazione straordinaria di quei giorni (che ispira a Paolo Pietrangeli la celebre Contessa) viene da molti considerata il preannuncio di un nuovo protagonismo giovanile, messo in luce pochi mesi dopo dal generoso accorrere degli “angeli del fango” in soccorso di Firenze sommersa dall’alluvione. Insieme al risveglio della coscienza antifascista la primavera di cinquant’anni fa rivela l’insofferenza dei giovani nei confronti delle associazioni universitarie che – come scrisse allora Eugenio Scalfari – appaiono «il prolungamento dei partiti, un piccolo apparato burocratico per uomini politici in erba». Un’insofferenza generazionale che, dopo un anno di incubazione, nel 1968 avrà libero sfogo nella radicalità del movimento studentesco.