Non è solo il lavoro. La “questione femminile” è anche nella terza età

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Il divario di genere si manifesta nell’occupazione ma anche in vecchiaia. Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma a parità di età hanno più malattie croniche, maggiori limitazioni motorie o sensoriali e minore autonomia. 

Esiste una questione femminile non solo nel lavoro. Il rapporto di Confcommercio sulla difficoltà di accesso delle donne all’occupazione, divulgato la settimana scorsa, desta un giusto allarme. Soprattutto se si incrocia con l’altra grande “questione”: quella meridionale.

Secondo l’indagine, appena una donna su tre nel Mezzogiorno ha un’occupazione. Circa il 30 per cento in meno della media Ue. Il tasso nazionale di occupazione femminile si ferma al 49 per cento, contro il 67 per cento degli uomini: 18 punti in meno. Peggio di noi, in Europa, fa solo la Grecia. Se si guarda poi alle posizioni apicali, nel 2013 nelle aziende appena il 3 per cento degli amministratori delegati era donna. Nel 2020, questo dato era ulteriormente calato al 2 per cento.

Il divario nelle retribuzioni. Secondo Almalaurea, le studentesse si laureano prima e con voti più alti, sono di più dei colleghi maschi, seguono tirocini ed esperienze all’estero, eppure faticano a farsi strada nel lavoro, e quando ci riescono guadagnano in media il 20 per cento in meno degli uomini. Ad essere penalizzate sono soprattutto le donne con figli.

Divario di genere tra gli anziani. C’è un altro gap meno noto, ma che ha in qualche misura un legame con il mondo del lavoro e delle relazioni. Non è un mistero che le donne vivano più a lungo degli uomini. Un’affermazione a cui associamo in genere l’idea che la maggiore longevità femminile sia accompagnata da buone condizioni di salute. In realtà, stando alla prima indagine demografica prodotta da Sociotechlab, il laboratorio delle tecnologie sociali nato da una collaborazione tra Spi Cgil e Università Sant’Anna di Pisa, le cose non stanno esattamente così.

L’esito della ricerca. Il rapporto svela, un po’ a sorpresa, che a parità di età le donne tendono a vivere la vecchiaia peggio dei maschi: hanno più multicronicità, maggiori limitazioni motorie o sensoriali, se la cavano peggio nelle attività quotidiane fondamentali come prepararsi i pasti, fare la spesa, usare il telefono, assumere i farmaci, svolgere lavori domestici, gestire le proprie finanze. Vi è quindi anche nell’invecchiamento una questione di genere, probabilmente espressione della generazione di donne oggi anziane e allo stile di vita condotto negli anni vissuti.

Si dimostra infatti che l’abitudine ad una vita sociale (di cui l’affermazione lavorativa è sicuramente un aspetto importante) e anche fisica più attiva, sia una condizione fondamentale per vivere meglio gli anni della vecchiaia ed è probabile che le attuali anziane abbiano usufruito meno di questa possibilità.

Anziani sì, ma solo a ottant’anni. La ricerca conferma comunque che l’Italia è e rimane uno dei paesi più longevi del mondo. La speranza di vita ha raggiunto oggi per gli uomini gli 81 anni contro gli 85 delle donne.

La crescita dell’età media induce molti anziani a percepire sé stessi come “poco anziani”. Due ultrasessantacinquenni su tre dichiarano infatti di non sentirsi affatto “anziani”, e quattro su dieci pensano che la vecchiaia inizi davvero a ottant’anni.