A Verdun giusto cento anni fa si combatté la battaglia più lunga e sanguinosa della storia, emblema dell’atrocità, dell’inutilità e della follia della guerra.
Orizzonti di gloria, il celebre film di Stanley Kubrick, inizia con la visita al fronte del generale Broulard per indurre il collega Mireau a mandare i suoi soldati alla conquista di un settore delle linee nemiche. Mireau prima si oppone, perché sa che con i pochi uomini a disposizione l’impresa è impossibile, ma poi fa prevalere le ambizioni di carriera e si lascia convincere. Mostrandoci Mireau mentre calcola la percentuale delle perdite umane in rapporto ai metri di terreno conquistati e alle probabilità di promozione, Kubrick mette a nudo il cinismo di un potere che dispone della vita e della morte degli uomini come se si trattasse di una partita a scacchi. Il film, di forte impatto antimilitarista (uscito nel 1957, subisce una lunga censura in Francia dove viene proiettato soltanto nel 1975), rievoca la battaglia combattuta giusto cent’anni fa, tra febbraio e dicembre 1916, sul fronte di Verdun, la più lunga e sanguinosa della storia, emblema dell’atrocità, dell’inutilità e della follia della guerra.
Dopo la battaglia della Marna, che ha arrestato la marcia dei tedeschi verso Parigi, il comando germanico deve rivedere i piani strategici. Il capo di stato maggiore, Erich von Falkenhayn, decide di concentrare la nuova offensiva nel settore meridionale di Verdun, dichiarato imprendibile dalla propaganda francese. Tutto viene preparato con cura e nella massima segretezza: le truppe tedesche raggiungono il fronte muovendosi di notte e attraverso gallerie in modo da non essere viste, mentre, per confondere le idee, vengono inscenate finte operazioni preparatorie di un attacco in Alsazia ed effettuate azioni diversive nell’Artois. L’inizio dell’offensiva, previsto per il 13 febbraio, viene rinviato di otto giorni a causa del maltempo. Alle 4 del mattino del 21 febbraio un colpo di cannone va a segno nei pressi della cattedrale e sveglia bruscamente gli abitanti di Verdun. Seguono tre ore di assoluto silenzio, poi si scatena l’inferno: l’artiglieria tedesca comincia a martellare le linee nemiche, e continua incessantemente per nove ore, durante le quali vengono lanciati circa due milioni di proiettili. Il fuoco raggiunge la massima intensità poco prima delle 16 quando parte l’attacco delle fanterie. I tedeschi escono a ondate successive, mandando in avanscoperta drappelli da ricognizione e reparti muniti di lanciafiamme (che fanno la loro prima apparizione proprio a Verdun) e utilizzando un nuovo tipo di gas. In un giorno riescono a penetrare per quattro chilometri oltre la linea del fronte lunga tre chilometri. Nei giorni successivi le cose vanno ancora peggio per i francesi: il 24 ben tre loro linee difensive sono travolte consentendo al nemico di avanzare di altri sette chilometri e di conquistare il forte corazzato di Douaumont.
Nell’esercito francese, che già prima dell’attacco di Verdun ha subìto ingenti perdite (994 mila morti e prigionieri e oltre un milione e mezzo di feriti), insieme a episodi di eroismo se ne segnalano altri di cedimento. Accade che, per il timore di essere accerchiate, alcune posizioni vengano abbandonate anzitempo. D’ora in poi – avverte il generale Joffre, comandante in capo dell’Armée – per i responsabili di simili atti di codardia ci sarà la corte marziale. Non saranno tuttavia queste minacce a imprimere la svolta, ma la decisione dello stato maggiore francese di affidare la regione di Verdun al generale Philippe Petain. Assunto il comando il 25 febbraio, Petain provvede per prima cosa a organizzare le comunicazioni nelle retrovie, rendendo praticabile un’unica strada di collegamento – la via sacra – attraverso la quale i rinforzi possono raggiungere il fronte: dal 27 febbraio al 6 marzo, 3.900 autocarri portano in linea 190.000 uomini e 23.000 tonnellate di munizioni. Petain impone la parola d’ordine Ils ne passeront pas, facendo di Verdun il cuore pulsante della nazione, fissa la linea sulla quale bisogna tenere a ogni costo, sferra contrattacchi vigorosi, improvvisi, talvolta disperati, fa dare frequentemente il cambio alle divisioni in linea, perché possano in qualche modo riprendere fiato.
Il 22 e 23 maggio i francesi riconquistano i forti Douaumont e Vaux, ma, accerchiati e attaccati con i gas asfissianti, devono di nuovo abbandonarli. È una situazione di stallo di fronte alla quale l’opinione pubblica tedesca comincia a essere inquieta e lo stesso principe ereditario Guglielmo preme per far cessare un massacro del quale non si vede la fine né l’utilità. Ma Falkenhayn non si arrende e sferra i suoi ultimi attacchi, che sono respinti dalle truppe fresche francesi, protagoniste il 1° luglio dell’offensiva della Somme. La battaglia indebolisce l’armata tedesca e consente ai francesi di riconquistare definitivamente, tra ottobre e novembre, i forti Douaumont e Vaux. Il 15 dicembre l’ultima offensiva ricaccia i tedeschi oltre le posizioni conquistate in primavera. Dopo dieci mesi di atroci combattimenti, oltre settecentomila morti, feriti e dispersi, la battaglia di Verdun si conclude senza alcun vantaggio strategico per le parti in conflitto. Rimane la devastazione di un territorio reso simile a un paesaggio lunare, sul quale si abbatte una pioggia incessante, che allaga le trincee ma non lava il sangue versato.