L’Europa di David Sassoli

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Riproponiamo qui, a un anno dalla scomparsa di David Sassoli, stralci di un’intervista al presidente del parlamento europeo che LiberEtà pubblicò nel numero di gennaio 2020. “Negli europei vedo un orgoglio ritrovato, la consapevolezza che nonostante tutte le difficoltà, l’Unione rappresenta un baluardo di democrazia in un mondo in cui questo non è scontato”.

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Presidente, perché questa legislatura può essere di svolta?

«Perché partiamo dal presupposto che i cittadini hanno dato fiducia alle forze europeiste e messo all’angolo i partiti sovranisti, ma nessuna forza politica è abbastanza forte. Non lo sono né i popolari né i socialisti, e tutto il fronte europeista ha bisogno di trovare convergenze in Parlamento, in Commissione, in Consiglio. È una legislatura che può rimettere in piedi il cantiere europeo, perché è necessaria un’ampia convergenza. Siamo all’ultima chiamata. Per molto tempo la riforma della democrazia e delle regole è rimasta ferma al palo della crisi economica. Abbiamo passato dieci anni a praticare politiche di rigore, ma oggi molti hanno compreso che, se non rimettiamo in moto il cantiere, non riusciremo a promuovere l’attaccamento alla democrazia di cui i cittadini hanno bisogno».

Che Europa vede dal suo osservatorio?

«Un’Europa che può essere orgogliosa, perché è in grado di resistere a chi la vuole più debole, e sono in tanti a scommettere sulle nostre divisioni anche con ingerenze nella vita democratica dei nostri paesi. Questo orgoglio ritrovato nel difendere l’indipendenza dello spazio europeo è un buon punto di partenza. Dobbiamo, soprattutto, essere orgogliosi del fatto che l’Europa rappresenti un baluardo di democrazia, in un mondo in cui questo non è scontato».

In quale direzione dovrebbe andare l’Europa oggi?

«I primi passi della legislatura non sono stati sbagliati. La presidente della Commissione europea,Ursula Von der Leyen, ha detto che abbiamo bisogno di una conferenza sulla democrazia per rimettere a posto alcune regole. Sono d’accordo. Il vero tema è come sviluppare la governance democratica. Ma, per fare ciò, abbiamo bisogno di un’Europa in cui la Commissione lavori con due Camere: il Parlamento e il Consiglio dell’Unione (che riunisce i rappresentanti dei governi, n.d.r.). C’è la necessità di ridiscutere dell’iniziativa e del ruolo del Parlamento e della sua partecipazione piena alla negoziazione del bilancio dell’Unione. E attuare la norma, già prevista dai trattati, dello spitzenkandidat, che consegna ai cittadini il potere di scegliere il presidente della Commissione».

«IL vero tema è come sviluppare la governance democratica, rafforzando il ruolo del parlamento e  consentire ai cittadini il potere di scegliere il presidente della Commissione».

Ma può bastare il lavoro sull’architettura istituzionale?

«La seconda gamba sulla quale lavorare è quella delle politiche. Ciò di cui si avverte il bisogno è che le forze europeiste convergano in maniera differente dal passato. Questa legislatura può segnare una reale discontinuità con l’Europa del rigore che ci ha paralizzato negli ultimi dieci anni. Oggi nessuno è così rigorista da pensare di proporre formule del passato. L’Unione ha bisogno di una scossa, e l’opportunità viene dalla sfida del cambiamento climatico, che non significa soltanto mettere regole per ridurre le emissioni di CO2, ma soprattutto sviluppare tecnologie e quindi lavoro. Chi pensa al cambiamento climatico come a una riduzione si sbaglia. Il Green deal è un modo per far crescere l’Europa, non per impoverirla. Allo stesso modo abbiamo bisogno di politiche sul lavoro, sul salario minimo, sulle questioni industriali, materie che interessano anche l’Italia».

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