Letture di primavera in regalo. L’azzurro rubato. 3° puntata

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Foto di Ruvim da Pexels

LiberEtà omaggia i propri lettori pubblicando sul sito il libro di Domenico Aleotti, terzo classificato del Premio letterario di LiberEtà 2020, in sei puntate. Ogni mercoledì vi porteremo in una Maremma incantata tra ex minatori partigiani e fotografi di moda. Un mondo fatto di duro lavoro, saperi preziosi, lotte e conquiste. Storie di piccoli e grandi amori, amicizie, avventure e passioni politiche. Un viaggio pieno di emozioni.



(…)

La mattinata era splendida, da circa un’ora la luce del sole occhieggiava dalle cime più alte delle colline che, come una corona verde, cingevano il paese; la luce arrivava lentamente creando giochi d’ombra nelle stradine antiche. Il resto era come accarezzato da scintille dorate che parevano rimbalzare sulle rocce che segnavano il degradare delle case.

La troupe di Fabrizio era già sul luogo scelto per il set. Gioiosi ragazzi, stranamente silenti, attendevano in gruppo. Baldo, vestito con una camicia a righine, un gilè marrone su pantaloni di fustagno, stava accanto a Fabrizio. L’aveva voluto lì con lui, non in un angolo ad aspettare. Baldo lo seguiva come un figlio ritrovato.

Tutto il set venne costruito intorno a Baldo e al cane: «Baldo, più lento, tieni il guinzaglio più lento», diceva Fabrizio mentre scattava continuando a parlargli. «Non mi guardare mai, guarda il cane, i ragazzi, il paese». Baldo eseguiva i gesti con grazia. I ragazzi stavano intorno ma per Fabrizio il centro del racconto fotografico erano il vecchio con il cane e l’azzurro malinconico dei loro occhi.

Il fotografo si accorse che Baldo cominciava a essere infastidito dal sole che ormai aveva scavallato le colline. «Stop, per oggi stop!», disse repentinamente Fabrizio. Nel raggiungere Baldo non gli sfuggì Buk mentre si appoggiava con la testa alle gambe dell’anziano. Il cane non era mai stato così espansivo con nessuno. «Baldo, avrei una proposta da farti – disse il fotografo passando amichevolmente un braccio sulle spalle dell’anziano, ora che aveva deciso di passare al tu – che ne diresti di custodire Buk, anzi se si trova bene vorrei regalartelo». Baldo fu preso da un leggero tremolio, accennò un sorriso e balbettò: «Magari, ma bisogna vedere se il cane è d’accordo». Fabrizio tagliò corto: «Conosco Buk, l’ho comprato cucciolo in Alaska, l’ho portato in regalo a mia moglie, sono sicuro che lui ti ha scelto, starà meglio qui che con me in giro per il mondo». Buk pareva intendere le parole di Fabrizio, guardava il vecchio e poi il suo padrone, un leggero scodinzolio sembrava comunicare l’ansia di partecipare alla conversazione.

Fabrizio aveva deciso di passare l’ultima sera a parlare con Baldo. E Baldo fu felice di mostrargli ancora tutti i suoi tesori: «Vedi, questi sono cristalli di quarzo, questo invece è rutilio agriforme, incluso in un cristallo di quarzo, questo invece è un cristallo di pirite, della classe dei solfuri. Stanno tutti là sotto, come ci stavamo noi. Pietre e uomini. Una volta fuori loro sembravano gioielli e noi sempre poveri uomini». A queste ultime parole, che Baldo accompagnò con un sorriso ironico, aggiunse: «Ma non prendiamoci troppo sul serio». Fabrizio era ammirato e stupito: «Baldo è bellissimo che tu conosca questi minerali». Baldo non lo fece finire: «Intendi dire come mai un minatore, un pensionato, che non ha studiato…». Fabrizio: «No, intendevo…». «Lasciami finire – lo interruppe con dolcezza Baldo – ti avevo detto che avevamo un circolo culturale di minatori, ci scambiavamo i nostri sassi, come li chiamavamo, poi si andava al museo di Massa Marittima, ci accompagnava un giovane ingegnere, figlio di minatori, che ci faceva dei corsi al circolo per capire cosa c’era dentro al cuore della terra. Nel circolo c’era un minatore che faceva le scuole serali. Lo chiamavamo il professore, poveretto è morto nella tragedia della miniera di Ribolla nel 1954. Ne sapeva più di tanti tecnici della Montecatini che non intuivano l’ammasso dei troppi gas nei corridoi della miniera!».

Assieme a Fabrizio e Baldo era sceso anche Buk. «Ormai è di casa», disse Fabrizio indicando il cane. Baldo lo accarezzò con dolcezza e, rivolto al fotografo chiese: «Che gli si dà da mangiare?». «Tranne i dolci, tutto quello che mangi tu, riso in abbondanza, pasta pochissima e scondita, e soprattutto pesce surgelato». «Il pesce?», chiese sorpreso Baldo. «Sì, il pesce, i suoi antenati in Alaska vivono di pesce e grasso di foca», spiegò Fabrizio. «Stasera faremo la prova, quando andrò via lasceremo la porta aperta e tu lo terrai in casa, libero. Vedremo cosa succede, se resta a casa con te o se vorrà seguirmi. Ah, dimenticavo, la mia segretaria mi ha dato questa busta, è il tuo compenso. Questa invece è mia, per il mantenimento di Buk. Aprile e guarda se vanno bene».

Baldo aprì le buste e vide che la prima busta conteneva molti soldi, in tagli da cento euro. Rimase di stucco. Stupito e imbarazzato sussurrò: «Sono troppi!». Fabrizio, sorridendo: «Ti serviranno per comprare il pesce per Buk».

Le ore trascorsero veloci. Quei due uomini, ora amici, non avrebbero voluto lasciarsi così presto ma la voce della segretaria ricordò a Fabrizio che la macchina per l’aeroporto di Pisa lo stava aspettando.

La porta di casa di Baldo era aperta. Fabrizio era già fuori, ma tornò dentro per abbracciare Baldo e il suo tenero compagno Buk. Con la coda dell’occhio guardò Buk e osservò la scena. Fabrizio non lo chiamò e si avviò verso l’uscita nel vicolo. Buk arrivò alla porta, guardò l’amico scendere e si lasciò sfuggire un lamento, poi si voltò verso Baldo e, trascinandosi in un malinconico guaire, andò ad accovacciarsi ai piedi del vecchio. «Chiudi, chiudi la porta che è tardi», disse Baldo a Selene.

L’autunno arrivò veloce, accompagnando le giornate verso un inverno che si presentava con albe rigide e folate di vento gelide che tormentavano i tetti del borgo antico.

Buk sembrava felice del vento e del freddo. Aspettava la sera, pronto sulla porta. Aveva saputo farsi voler bene da Selene, aveva imparato a sopportare il loro gatto e a non sporcare in casa.

Nell’imminenza dell’inverno la moglie di Baldo era sempre preoccupata per le uscite del marito con il cane. Ma non poteva farci nulla. Baldo non accettava consigli, viveva quella passeggiata con il cane come una volta aveva vissuto l’uscita dalla miniera al calar della sera. Arrivare fino alle rocce lo rendeva giovane e pieno di gioia. Arrivavano insieme fino alla grande roccia. Baldo si sedeva, Buk immobile aspettava un suo gesto, una parola, «vai, Buk vai». Il cane partiva festoso scalando le rocce per poi tornare dal suo amico. Così tutte le sere, per settimane, poi arrivò la neve che rese Buk vivace, eccitato, instancabile. Anche con la neve Baldo continuò a portare fuori Buk. Il cane correva, si rotolava in quel soffice manto bianco, guaiva impazzito dalla felicità. Il vecchio invece camminava piano piano. Aveva tirato fuori gli scarponi da montagna, ricordo del suo passato di soldato. Le rocce erano diventate un magico paesaggio, sulla loro cima un candido colbacco di neve ne faceva immobili guerrieri a guardia allo splendore della natura. Buk pareva giocare a nascondino, appariva e scompariva dalle rocce, sempre attento al suo amico.

(…)

 



La storia
Un grande fotografo di moda decide di realizzare un servizio fotografico sulle colline della Maremma. Ma mentre cerca di catturare gli sguardi più espressivi di ragazze e ragazzi bellissimi, viene colpito dagli occhi azzurri di un vecchio della zona, un minatore che ha passato gran parte della sua vita lavorando sotto terra e che ha combattuto durante la Resistenza. Aleotti ci racconta un mondo perduto fatto di duro lavoro, saperi preziosi, lotte e conquiste.  Un viaggio nel passato denso e pieno di emozioni.

L’autore
Nato a Genova nel 1942. Ha lavorato per una vita come sceneggiatore cinematografico anche per la grande casa di produzione Gaumont guidata Renzo Rossellini e per importanti registi di fama internazionale. Con Rossellini ha partecipato alla fondazione di Radio Città Futura negli anni Settanta. Ha lavorato con Franca Rame e Dario Fo. Da trentacinque anni vive in Maremma. Da sempre motociclista, oggi gira in Vespa. Ha una biblioteca di più di ottomila volumi. È iscritto allo Spi Cgil, scrive racconti e collabora con Il Tirreno.

 


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