Influenza: perché vaccinarsi

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Vaccinarsi o no? I medici sono concordi: obbligatorio per chi è a rischio immunologico. Ma c’è chi diffonde false convinzioni. Ecco le prove dell’efficacia della prevenzione.

Aumenta il contagio. Il blocco precauzionale di una partita di vaccini ha innestato, nel dicembre dello scorso anno, un allarme collettivo sui danni da vaccinazione. L’allarme è poi rientrato ma i danni sono rimasti. L’ultima epidemia influenzale ha colpito in Italia circa sei milioni di persone (il 10 per cento della popolazione). Il picco massimo d’infettività si è verificato alla fine di gennaio. Le cronache giornalistiche di quel periodo raccontavano scene apocalittiche con pronto soccorso sovraffollati e pazienti in barella nei corridoi. L’epidemia influenzale dell’anno scorso è stata particolarmente virulenta, con 485 casi gravi e 160 morti (36 nel Veneto). Solo il 7,6 per cento delle persone gravi era stato vaccinato, pur in presenza, nell’80 per cento dei casi, di condizioni che rendevano raccomandabile la vaccinazione antinfluenzale.

L’efficacia dei vaccini. È certamente vero che non tutti rispondono alla vaccinazione e che alcuni (una minima parte) si ammalano lo stesso. Pur tuttavia questi casi limitati non giustificano la riserva che ha preso piede in una parte dell’opinione pubblica. L’influenza nei vaccinati si manifesta con sintomi più lievi. Le complicanze, come le broncopolmoniti, sono ridotte del 50 per cento e con minore ricorso al ricovero ospedaliero. Ma l’aspetto più importante è che tra i vaccinati la mortalità risulta decisamente inferiore. Inoltre non va dimenticato che la vaccinazione limita la circolazione del virus, evitando quindi nuove infezioni. Il beneficio è per i singoli e per tutti. Viceversa chi non si vaccina costituisce un serbatoio per infettare gli altri.

Quando vaccinarsi. Il periodo più indicato per la vaccinazione è da metà ottobre a fine dicembre, fatte salve le variazioni stagionali del virus. Per fare fronte a questa eventualità sta entrando in commercio un vaccino tetravalente che copre due virus del ceppo A e due del ceppo B, aumentando la protezione. Resta comunque valido il vaccino trivalente in uso da anni, due ceppi del virus A e uno B, indicati ogni anno dall’Organizzazione mondiale della sanità. Inoltre sono in fase di sperimentazione vaccini ad hoc per gli anziani, dotati di una maggiore carica antigenica capace di contrastare il calo delle difese immunitarie.

Effetti collaterali? La vaccinazione può dare per lo più febbricola per non più di due giorni, dolori muscolari e un fastidio in sede di puntura. Le reazioni allergiche gravi sono rarissime. Su 19 milioni di vaccinati in Italia si sono verificate solo cinque reazioni allergiche, nessuna mortale. Negli Stati Uniti solo 36 reazioni allergiche su 29 milioni di vaccinati. Altri effetti collaterali non sono provati scientificamente. Certamente i pazienti con sintomi di tipo influenzale o con provata storia di reazioni allergiche devono astenersi o consultare il medico. Tutto questo, però, non deve far dimenticare le elementari norme igieniche, come lavarsi le mani, evitare il contatto con gli infetti e i luoghi affollati, usare fazzoletti a perdere e quant’altro.

Consigli agli anziani. È anche grazie alle vaccinazioni di massa che si allunga la vita media delle persone. Ragione di più per promuovere tra gli anziani il vaccino contro la polmonite da pneumococco e, in casi selezionati, contro l’herpes zoster (il fuoco di sant’Antonio), senza dimenticare il richiamo decennale dell’antitetanica. In futuro saranno disponibili vaccini contro altre malattie, come quelle degenerative (ad esempio l’Alzheimer) e quelle neoplastiche. Per questo occorre incentivare la ricerca con prove scientifiche serie. Chi monta campagne contro i vaccini ci fa tornare all’epoca degli untori e dei guaritori, a un Medioevo tecnologico. E in Italia quanto a pregiudizio antiscientifico non siamo secondi a nessuno.