L’aspetto più insidioso e temuto del nuovo virus Covid-19 è l’elevata contagiosità. È proprio questa la causa delle misure restrittive imposte ai cittadini su scala mondiale: non è tanto la mortalità dell’infezione a spaventare, quanto la sua facile e rapida trasmissione, con il conseguente rischio di non poter dispensare cure a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Vi è tuttavia un altro, non meno preoccupante, contagio: quello della paura e della rabbia che, proprio come il virus, si diffondono a velocità impressionante fra la popolazione, superando spesso le barriere della logica e della ragione e producendo comportamenti e credenze irrazionali.
Se infatti nei momenti iniziali della pandemia abbiamo assistito a un rinnovato senso di solidarietà e di unione per affrontare l’emergenza comune, negli stadi successivi la preoccupazione per il contagio tende a trasformarsi in individualismo e diffidenza nei confronti altrui. Alcune ricerche dimostrano la formazione di stigma sociale e pregiudizi negativi nei confronti di chi contrae l’infezione. In particolare, diversi studi rivelano un aumento di odio e razzismo nei confronti della popolazione asiatica, essendo la Cina il primo Paese in cui si è riscontrato il Coronavirus.
Questi meccanismi non si verificano oggi per la prima volta, ma sono strutturali agli episodi epidemici. Una ricerca condotta in Svezia dopo la diffusione dell’influenza H1N1, ad esempio, ha mostrato come la paura del contagio abbia inciso sulla percezione di sé e degli altri: le persone si reputavano responsabili nei confronti della propria salute, ma manifestavano forte diffidenza e sfiducia nei confronti degli altri, considerandoli potenziali “untori”. Ciò portava a un maggiore individualismo e a un approccio più negativo alle relazioni interpersonali.
Una delle emozioni più contagiose è la paura, sia per sé sia per gli altri. L’emergenza ha scatenato molti timori e angosce, che in alcuni casi provocano un importante disagio in chi ne soffre, rasentando addirittura la psicopatologia. Si registra un aumento di ossessioni e compulsioni sulla pulizia e sulla salute, di ipocondria e di ansia. Se nutrire preoccupazione per il contagio è ragionevole, questi esiti coincidono invece con un terrore estremo e irrazionale, che può mettere a repentaglio il proprio benessere anziché favorirlo. A essere più a rischio di tale forma eccessiva di paura sono – secondo una ricerca condotta dalla neuropsicologa Poletti – le persone con basso livello di istruzione e quelle che, ancor prima della pandemia, presentavano sintomi ansiosi e depressivi.
Se da un lato occorre senz’altro adoperarsi tutti per limitare il contagio del Coronavirus, dall’altro è importante anche occuparsi del contemporaneo contagio di emozioni negative. Queste, anziché portare a essere più uniti nella lotta contro il Covid, portano a dannosi pregiudizi e paure.
Per fortuna tante strategie possono essere messe in atto per fronteggiare queste difficoltà. In primo luogo, è bene vagliare con criticità le informazioni delle quali veniamo a conoscenza, così da non farci condizionare da dicerie e ipotesi sul virus che – oltre a non essere vere e a creare confusione – possono aumentare sentimenti di diffidenza e rabbia. È consigliabile anche ridurre il tempo dedicato a controllare i dati e le statistiche legate al Covid: è bene tenersi aggiornati, ma senza rischiare di trascorrere gran parte della propria giornata con la mente rivolta all’emergenza. Ascoltare o leggere le notizie una o due volte al giorno è sufficiente: nel resto del tempo, evitiamo di cercare ulteriori informazioni, per non concentrare tutte le nostre energie e i nostri pensieri su questo argomento.
Infine, il maggior tempo a disposizione che si ha a causa delle restrizioni può essere utilizzato per instaurare nuove abitudini sane e piacevoli, come passeggiare, praticare sport in casa, leggere o meditare. In particolare, le tecniche di rilassamento possono essere utili per ridurre l’ansia.
A cura dello studio di psicologia Archè.