Il decennio nero della strategia della tensione

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Gli anni Settanta rappresentarono l’apice di una stagione in cui le conquiste sociali e l’ampia partecipazione popolare alimentarono una crescita senza precedenti della nostra democrazia.

Ma quegli anni ebbero anche un lato oscuro, fatto di trame eversive, stragi, tante, che insanguinarono le nostre strade, e poi di bugie e depistaggi che misero a dura prova la credibilità delle nostre istituzioni. Un’ombra lunga, durata un decennio, che cambiò il corso della nostra storia repubblicana e che impareremo a conoscere con l’espressione di “strategia della tensione”. Una definizione che non inventammo noi, ma il giornalista dell’Observer Leslie Finer in un articolo apparso il 7 dicembre del 1969. L’articolo di Finer si basava su alcuni documenti segreti indirizzati all’ambasciatore greco in Italia, da cui emergeva il piano di alcuni gruppi neofascisti italiani, in accordo con esponenti della giunta militare greca, di sovvertire l’ordinamento democratico del nostro Paese. Cinque giorni dopo quell’articolo, il 12 dicembre del 1969, scoppiò la bomba di Piazza Fontana, che provocò la morte di 17 persone e il ferimento di altre 71. Quella bomba, preceduta in quell’anno da una serie di attentati minori, aprì ufficialmente la stagione delle stragi, che si concluse solo dieci anni dopo, nell’agosto del 1980, con un’altra bomba alla stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti). In mezzo una lunga sequela di attentati: Freccia del Sud, Peteano, Piazza della Loggia, Italicus.

Il tentativo di destabilizzare il nostro paese non si limitò però alle bombe. Vennero infatti programmati anche piani golpisti che si proponevano di rovesciare la Repubblica. Piani che però, per misteriosi contrordini arrivati all’ultimo minuto, o perché scoperti e sventati per tempo dalle forze dell’ordine, non avranno seguito.

Questa storia va inquadrata negli anni della guerra fredda. L’Italia è una zona di confine tra Est e Ovest, tra paesi filo-occidentali e regimi comunisti, e tra Europa e l’Africa. Al centro di fortissime tensioni che provengono dall’esterno, la classe politica italiana tenta di conquistare una propria, almeno parziale, autonomia. Ma chi ci aveva realmente provato, come Mattei e Moro, era andato incontro a una tragica fine, o l’aveva sfiorata, come Berlinguer nello strano incidente in Bulgaria. In questo clima, le bombe vengono messe per destabilizzare la democrazia.

Ma qual’era l’obiettivo della strategia della tensione? E cosa sappiamo al riguardo? Un libro, “L’Italia delle stragi”, curato dallo storico Angelo Ventrone, prova a mettere ordine in una materia di per sé scivolosa: gran parte delle indagini su quegli anni hanno visto lo stratificarsi di reticenze, omissioni, depistaggi, così come l’incredibile susseguirsi di incriminazioni e assoluzioni che hanno finito per generare confusione nell’opinione pubblica. Il libro, che ha il merito di dare la parola ai magistrati che condussero quelle inchieste giudiziarie, arriva alla conclusione che in realtà le indagini si spinsero molto più avanti di quanto si sia realmente percepito. E se anche gli “alti mandanti della destabilizzazione” non sono sempre intellegibili dalle carte delle inchieste, appaiono chiari agli estensori del libro gli ambienti da cui nacque la strategia della tensione e il movente, anzi i moventi, del disegno eversivo. Perché se è vero che i neofascisti e i neonazisti coinvolti materialmente nelle stragi volevano la dittatura militare, chi li manovrava dall’alto – parti deviate dei servizi segreti, delle forze armate, di gruppi imprenditoriali e di pressione, come la P2, e delle stesse istituzioni – seguiva «una strategia più sottile: destabilizzare l’ordine pubblico, per stabilizzare l’ordine politico. L’obiettivo non era provocare il crollo della democrazia attraverso una serie crescente di attentati seguiti da un colpo di Stato, ma scaricare la responsabilità degli attentati sulla sinistra, screditarla davanti all’opinione pubblica, isolare politicamente il Pci e metterlo ai margini, impedendogli di avvicinarsi all’area di governo». Perché era esattamente quello che stava accadendo in quegli anni.

Ma – è la conclusione del libro – per quanto ferita, la democrazia è riuscita a non farsi sopraffare dai suoi nemici. E ciò grazie ai magistrati, agli uomini delle istituzioni fedeli alla Costituzione, ai giornalisti e a tutti quei cittadini che non si fecero intimidire, e continuarono a scendere in piazza.