Il fondo per la ripresa dopo la crisi Covid-19 presentato dalla Commissione europea per il vecchio continente è quasi un Big Bang, una “esplosione primordiale” che avvia una nuova era. Una quantità di risorse mai vista prima, che prelude a una stagione inedita per l’Unione, fatta di scelte di politica economica condivise e comuni. Non a caso la presidente Ursula von der Lyen ha voluto chiamare l’operazione “Prossima generazione Europa” (Next Generation Eu), tanto per sottolineare la forza epocale dell’iniziativa. Si tratta di un fondo garantito dal bilancio europeo (quindi sostenuto da tutti i 27 Paesi, ma ciascuno per la sua quota: non c’è condivisione del debito), che chiederà al mercato 750 miliardi da distribuire ai Paesi membri fino al 2024. Gran parte delle risorse (500 miliardi) saranno contributi a fondo perduto, mentre 250 miliardi saranno prestiti a condizioni molto vantaggiose (bassi interessi e scadenza trentennale). L’Italia sarà il Paese che beneficerà maggiormente, essendo il più colpito dalla crisi. Non ci saranno interventi a pioggia, ma basati sul danno effettivo che un Paese ha subito dalla pandemia. Stando ai criteri individuati, a Roma dovrebbero arrivare oltre 80 miliardi di trasferimenti e 90 di prestiti. Per ottenere i trasferimenti bisognerà indicare in autunno (assieme alla legge di bilancio) quali riforme si intendono avviare per rendere l’investimento efficace. Per l’Italia la Commissione ha già indicato una giustizia civile certa nei tempi e nelle decisioni. Le forze politiche già stanno avanzando le loro ipotesi, tra green economy e nuove infrastrutture. Tra queste c’è anche quella di abbassare le tasse, ma su questo fronte non basta certo un trasferimento per raggiungere l’obiettivo. Perché le tasse scendano c’è bisogno di equilibrio di bilancio, con più crescita e meno sprechi.
In questo modo tutta l’Unione dovrà fare una profonda azione riformatrice per il futuro. Ma nel modello presentato a Bruxelles non mancano le ombre. Prima di tutto i tempi: forse si riuscirà a far partire i finanziamenti solo l’anno prossimo (con un mini-anticipo sui fondi strutturali quest’anno). E il no dei Paesi rigoristi potrebbe cambiare qualche elemento. Per raggiungere quota 750 miliardi, poi, la Commissione dovrà dotarsi di nuove entrate europee (non basta il bilancio attuale di 1.100 miliardi). Questo significa che dovrà imporre nuove tasse comunitarie: si parla di carbon tax (tassa sull’inquinamento), web tax (sui giganti della rete) e di tassa sulle transazioni finanziarie. C’è poi il tema del ristoro di questo prestito: ogni Stato dovrà contribuire con la sua quota. L’aiuto effettivo, secondo i delatori, sarebbe molto più basso. A ben vedere, tuttavia, il contributo di ciascun Paese al bilancio europeo ci sarebbe stato in ogni caso, anche senza il nuovo fondo. Dunque, il guadagno è netto. E per l’Italia è davvero consistente.
Rubrica a cura di Bianca Di Giovanni