Guido Rossa. La storia di uno di noi

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Prima del funerale, Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, vuole incontrare i camalli del porto di Genova. Qualcuno lo avvisa che tra loro c’è chi sostiene l’idea di stare “né con lo Stato, né con le Br”.
«È proprio per questo che li voglio incontrare».
Il Presidente entra nella sala, sale sulla pedana e comincia: «È il compagno Pertini che vi parla, non il Presidente della Repubblica. Io le Brigate Rosse le ho conosciute, hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!».
Silenzio di tomba.
Poi qualcuno comincia ad applaudire. Poi, applaudono tutti.

Quarantacinque anni fa, il 24 gennaio 1979, le Br uccidevano Guido Rossa. Era un delegato di fabbrica della Cgil, tessera del Pci, uno che non si piegò al terrorismo. Come ogni mattina Guido Rossa era uscito di casa alle 6,30 per recarsi in fabbrica. Conoscevano le sue abitudini i tre che lo stavano aspettando a bordo di un furgone. Appena lo videro salire sulla Fiat 850 scesero e si avvicinarono quanto bastava per essere sicuri di colpirlo esplodendogli contro sei colpi di pistola.

Il calendario 2024 Spi e LiberEtà con il ricordo di Guido Rossa

Per il 2024 lo Spi Cgil e LiberEtà hanno prodotto un calendario per ricordare le ricorrenze più importanti della storia del nostro paese. “Ci sono giorni che fanno la storia” è il titolo del progetto e il mese di gennaio si apre con un’immagine creata appositamente per il per ricordare l’uccisione di Guido Rossa.

Il calendario nella versione digitale – e tutte le grafiche create per ogni mese – si trova nel sito dello Spi Cgil.

L’articolo di seguito riportato, a firma di Giuseppe Sircana, fu pubblicato nel numero di gennaio del 2019 di LiberEtà, per i quarant’anni dall’uccisione dell’operaio Italsider. Lo riportiamo interamente.

La storia di Guido Rossa

Guido Rossa venne ucciso il 24 gennaio 1979 a Genova. Lavorava come operaio all’Italsider, ed era delegato di fabbrica della Cgil e militante del partito comunista. A sparare furono Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi, appartenenti alle Brigate rosse. Nel delirante volantino di rivendicazione dell’assassinio definirono la vittima uno dei «miseri revisionisti berlingueriani, spia e delatore infiltrato tra gli operai». Agli occhi dei terroristi la colpa di Rossa era quella di aver denunciato un compagno di lavoro, sorpreso a distribuire documenti delle Br all’interno dello stabilimento siderurgico di Cornigliano. Ma la sua uccisione – dirà l’ideologo delle Br, Enrico Fenzi – fu anche «dovuta al dispetto, alla frustrazione di fronte a una classe operaia genovese alla quale s’erano indirizzati tutti gli sforzi di reclutamento delle Brigate rosse e che si era dimostrata praticamente impermeabile a queste profferte». Di quella classe operaia Rossa rappresentava l’emblema più fulgido.

Nato nel 1934 in provincia di Belluno era ancora ragazzo quando con la sua famiglia si stabilì a Torino, iniziando a lavorare come operaio in una fabbrica di cuscinetti a sfera e poi alla Fiat come fresatore. Nel 1961 decise di trasferirsi a Genova, la città della moglie, dove venne assunto all’Italsider ed eletto, già l’anno seguente, nel consiglio di fabbrica. Anche con il mare davanti mantenne intatta la sua grande passione per le arrampicate in montagna. Guido era stimato e benvoluto dai compagni anche perché non si tirava mai indietro e sentiva tutta la responsabilità di delegato sindacale. Così quando prese corpo il sospetto che all’interno dello stabilimento potesse esserci qualche brigatista o fiancheggiatore dell’organizzazione terroristica, cominciò a fare il giro dei reparti per verificare eventuali zone di opacità e di connivenza. Da tempo le Br andavano millantando il sostegno degli operai del grande stabilimento siderurgico genovese, ma nulla di concreto era emerso al riguardo fino al 25 ottobre 1978. Quel giorno alcuni operai mostrarono a Rossa un opuscolo con l’ultima risoluzione strategica delle Br, che era stato trovato vicino alla macchinetta distributrice di caffè. Non occorse molto tempo al coraggioso sindacalista per individuare nell’impiegato Francesco Berardi il postino dei terroristi. Fu subito riunito il consiglio di fabbrica che, vincendo incertezze e perplessità, decise di denunciare l’accaduto alla vigilanza dello stabilimento. Berardi venne fermato e si dichiarò prigioniero politico. Nel suo armadietto furono rinvenuti volantini e documenti brigatisti, appunti con diversi numeri di targhe d’auto. I carabinieri convocarono i delegati ma fu solo Rossa ad apporre senza esitazione la propria firma in calce alla denuncia. Il magistrato convalidò l’arresto di Berardi, che venne processato per direttissima e condannato a quattro anni e mezzo di reclusione. Morirà suicida nel carcere di Cuneo il 24 ottobre 1979.

Non è ancora stato sciolto il nodo del presunto isolamento di Rossa, sempre negato dai delegati del consiglio di fabbrica che gli furono più vicini, ma avvalorato dalle inequivocabili parole pronunciate il 27 gennaio 1979 dal segretario generale della Cgil, Luciano Lama, in occasione dei funerali: «Riconosciamo sinceramente – disse il leader della Cgil – che se il gesto di coraggio civile compiuto dal compagno Rossa non fosse rimasto troppo isolato, se attorno a lui, nel momento più arduo della prova, noi tutti, a cominciare dagli operai dell’Italsider, fossimo stati un unico grande testimone schierato contro il nemico della democrazia, forse la vita di questo nostro compagno non sarebbe stata spezzata».

I funerali di Guido Rossa

Genova con Guido. Il giorno dei funerali per rendere omaggio a Guido Rossa in piazza De Ferrari, sotto una pioggia battente, si radunarono 250.000 cittadini. Gli furono tributati i funerali di Stato alla presenza del presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che volle portare con sé e apporre sul cuscino accanto alla bara la medaglia d’oro al valor civile conferita al sindacalista assassinato. Pertini ricordò che in Liguria era iniziata la sua lotta antifascista e aggiunse: «Non avrei mai immaginato, a tanti anni di distanza, che saremmo tornati in una situazione tanto grave come quella sotto il fascismo, con gente che vuole destabilizzare la nostra Repubblica, la nostra democrazia. Questa democrazia, anche se qualcuno non è soddisfatto – nulla è perfetto a questo mondo – è una nostra conquista, della Resistenza e mi conforta che la classe lavoratrice l’abbia compreso».