Generi lessicali: cos’è lo schwa

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Contro un uso eccessivo del maschile nella grammatica italiana da molte parti arriva la proposta di utilizzare il fonema schwa. E questo per rendere il linguaggio più inclusivo. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta

Cos’è lo schwa? In una società in continuo cambiamento, dove sempre più spesso è la questione di genere ad affermarsi, anche la lingua vuole la sua parte. Si è così acceso, anche in Italia, un accanito dibattito su come rendere il linguaggio più inclusivo. Si oscilla tra posizioni radicali e proposte più o meno realizzabili. Come l’uso dello schwa. Lo schwa è una “e” rovesciata “ə”, un grafema presente nell’alfabeto fonetico internazionale, in diverse lingue e anche in alcuni dialetti italiani, come quelli napoletano o piemontese. In molti hanno iniziato a usarlo in contesti e ambiti più o meno ufficiali, dalle chat sui social network fino ai bandi di concorso. Il suo uso è un tentativo di includere singoli o gruppi di persone che non si riconoscono in una sessualità binaria (donna-uomo); inoltre, con lo schwa e altre modifiche, si contesta l’uso eccessivo del maschile nella grammatica italiana. Per fare alcuni esempi, alcuni mestieri come sindaco, architetto, ministro, sono stati finora declinati al maschile. E per riferirci a un gruppo che comprende uomini e donne, si usa il maschile sovraesteso. Sono consuetudini della lingua italiana, ma che per molti rispecchiano una società che è stata, e che in parte è ancora, patriarcale e discriminante. E non sembrano sufficienti le obiezioni di chi sostiene, ad esempio, che i generi grammaticali non sono i generi sessuali.

Proposte diverse. Ma, al di là dell’introduzione da parte di alcune persone e in certe realtà, di fatto non è mai stata richiesta la modifica della grammatica. Lo stesso uso dello schwa non è neanche stato la prima soluzione proposta per rendere più inclusiva la lingua italiana. Ci sono stati altri tentativi, come l’uso di asterischi (*) o chiocciole (@). Elementi che però hanno esclusivamente un impiego scritto, perché impossibili da usare nella lingua parlata. Per questo la scelta è caduta ora su schwa (ǝ) per il singolare e schwa lunga (з) per il plurale. Però, anche schwa non è certo semplice da pronunciare e, quindi, da far entrare nel linguaggio comune.

Schwa deriva dal termine ebraico sewa, che vuol dire insignificante. Può indicare sia una vocale debole sia l’assenza totale di una vocale

Problema politico. Tra le prime a proporre l’uso dello schwa è stata Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale. Sostiene, infatti, che dal punto di vista semantico può indicare un genere indistinto, perché rappresenta un suono al centro del rettangolo delle vocali e ha una pronuncia neutra. La linguista, però, non propone un cambiamento strutturale o l’abolizione dei generi. Vuole invece richiamare l’attenzione sulla questione e sul fatto che alcuni non si riconoscono nei generi femminile e maschile della lingua italiana. Perché il dibattito oggi si pone più nel campo politico che in quello linguistico.

Dibattito aperto. L’impegno per un linguaggio più inclusivo ha suscitato così un acceso dibattito sia in ambito accademico sia nell’opinione pubblica. Da un lato, c’è chi sostiene che la lingua è viva, aperta alle sperimentazioni e segue i cambiamenti della società. Dall’altro, alcuni intellettuali si oppongono all’introduzione di queste modifiche. Addirittura, nel dibattito sull’uso dello schwa è entrata una petizione, lanciata sulla piattaforma on line Change.org da Massimo Arcangeli dell’università di Cagliari. Con il titolo Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra ha trovato molti sostenitori, anche tra personalità della cultura come Luca Serianni e Alessandro Barbero.

Soluzione lontana. Una reale soluzione sembra lontana e non verrà certo dallo scontro tra le due posizioni nette e contrapposte, che non sembrano voler davvero confrontarsi su questi temi. Sicuramente la riflessione sulla disparità di genere influenza la quotidianità, come la lingua e le sue numerose modalità di espressione. Il dibattito continuerà, certo, ma se lo schwa entrerà davvero nella lingua italiana potrà dircelo solo il tempo. Perché su un punto sono quasi tutti d’accordo. Ogni lingua non cambia in base a modifiche introdotte dall’alto. Cambia soltanto se la comunità che la parla usa quelle modifiche, facendo così evolvere quella lingua e mantenendola viva.