Alluvioni e altre tragedie non frenano il consumo di suolo

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Nonostante le recenti tragedie di Ischia e delle Marche, l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ci dice che siamo dei veri e propri divoratori di suolo, al ritmo di due metri quadrati al secondo. E i disastri sempre più frequenti dovuti al dissesto idrogeologico ne sono una diretta testimonianza

In Italia il territorio sta cambiando aspetto. Questo avviene a causa del consumo di suolo che procede sempre più spedito e che sembra davvero non trovare ostacoli sulla propria strada. Edifici, insediamenti commerciali, logistici e produttivi, infrastrutture e altre costruzioni umane stanno togliendo spazio alle aree naturali e agricole alla folle velocità di 2,2 metri quadrati al secondo. Che si traducono in diciannove ettari al giorno, l’equivalente, per avere un ordine di grandezza più concreto, di circa venti campi da calcio. Il valore più alto registrato negli ultimi dieci anni.

Gli impressionanti numeri di questa trasformazione sono scritti nel rapporto 2022 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), secondo il quale soltanto nel 2021, anno cui si riferisce il rapporto, l’estensione del terreno ricoperto da costruzioni artificiali è arrivata a superare i sessantanove chilometri quadrati. A livello regionale, i valori più elevati si riscontrano in Lombardia (12,12%), Veneto (11,9) e Campania (10,49), con le prime due regioni che anche in termini assoluti fanno registrare gli incrementi annuali più alti rispettivamente con +883 e +684 ettari. Tra le grandi città, invece, Roma occupa il primo posto della classifica con una perdita di terreno naturale pari a 95 ettari nel solo 2021.

L’estensione del cemento. A oggi il cemento occupa 21.500 chilometri quadrati del suolo italiano, dei quali 5.400, ovvero una superficie pari a quella dell’intera Liguria, riguardano i soli edifici, che rappresentano il 25 per cento dell’intero suolo consumato. Se poi si considera che di questi, 310 chilometri quadrati – una superficie pari a quella di Milano e Napoli messe insieme – sono occupati da edifici non utilizzati e degradati è facile comprendere come al danno si aggiunga anche la beffa.

Divoratori di terreno. Negli ultimi quindici anni l’espansione urbana e le sue trasformazioni sono costati al nostro territorio 1.153 chilometri quadrati di suolo naturale in meno: in media settantasette l’anno. Siamo arrivati, infatti, ad aver ricoperto il 7,13 per cento del territorio (nel 2015 eravamo al 7,02 e nel 2006 al 6,76 per cento), valore che sale al 10 per cento se si prende in considerazione quello che viene definito il “suolo utile”, ovvero quella parte di territorio che è teoricamente disponibile e idoneo. Dati che peraltro risultano in netta controtendenza rispetto al resto dell’Europa, dove il totale di copertura artificiale del suolo arriva al 4,2 per cento. In Germania, ad esempio, gli ettari consumati al giorno sono trenta, mentre in Gran Bretagna dagli anni Trenta a oggi si è passati dai venticinquemila agli ottomila ettari l’anno.

Il prezzo da pagare. Ma deforestazione, cementificazione, copertura dei corsi d’acqua e altri interventi di carattere artificiale, oltre a rappresentare forme evidenti di degrado, con perdita di habitat naturali e frammentazione del territorio, sono anche le cause principali dell’estendersi dei rischi ambientali. Aumentando le coperture del suolo, infatti, aumenta la sua impermeabilizzazione, e con essa il dissesto idrogeologico.

Frane, inondazioni e altri disastri ambientali, ai quali negli ultimi anni assistiamo con sempre maggiore frequenza, ultimo in ordine di tempo quello di Casamicciola nell’isola di Ischia, sono il risultato di un uso indiscriminato del suolo che, oltre a provocare danni materiali ingenti, ha anche un prezzo elevato in termini di vite umane. Tra il 2010 e il 2022, sempre secondo l’Ispra, gli eventi estremi sono stati oltre 1.500, e soltanto nei primi dieci mesi del 2022 ne sono stati registrati più di 250. Il 94 per cento dei comuni italiani, inoltre, si trova in situazioni di rischio idrogeologico o di erosione costiera e otto milioni di persone vivono in zone ad alta pericolosità.

Insomma, i costi da pagare alla “fame di suolo” di cui sembra soffrire il nostro paese non sono pochi e sono anche salati. Eppure si continua a costruire, molto spesso in maniera abusiva, anche nelle zone a maggior rischio senza tenere conto dei pericoli. Salvo poi esprimere il cordoglio per le vittime e rimandare tutto alla prossima “tragedia annunciata”.