Case di riposo, suona l’allarme

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Le notizie che arrivano dal Pio Albergo Trivulzio (74 operatori sociosanitari, e 14 pazienti dell’Istituto positivi) ma anche da Aulla in Lunigiana (50 positivi tra operatori e ospiti), dall’’Istituto Povere Figlie della Visitazione di Maria, a Napoli (una cinquantina di positivi), dalla struttura Rosa Libri a Greve in Chianti, in provincia di Firenze, (39 ospiti su 48; quattro i morti), risvegliano gli incubi vissuti nella primavera scorsa.

Brucia ancora sulla pelle viva ciò che è accaduto durante la prima ondata della pandemia, quando a essere colpite furono decine e decine di case di riposo e Rsa. L’Organizzazione mondiale della sanità, nel mezzo della tempesta, stimò che fino al 50 per cento dei deceduti a causa del covid, andassero annoverati tra i residenti delle strutture residenziali per anziani, e non solo in Italia. L’Istituto superiore della sanità è stato più preciso, parlando di un numero di caduti nelle strutture compreso tra 9 e 10mila.

Perché in questo lasso di tempo non si sono costruite procedure condivise da tutte le strutture per anziani, per tenere lontano il virus da una popolazione fragile e a forte rischio?

Torniamo a misuraci con scene che mai avremmo voluto rivedere. Al Don Orione di Avezzano, già a fine ottobre i morti erano più di venti. Una delle ospiti, che si era aggravata, è persino morta sull’ambulanza, dopo ore di attesa, per mancanza di posti in ospedale. Un uomo di 72 anni è deceduto, in macchina, aspettando il ricovero.

“Non sta andando per niente bene”, ha scritto Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi Cgil, pochi giorni fa. “Aumentano i contagi, si riempiono nuovamente le terapie intensive, tornano a morire gli anziani nelle Rsa. No, non sta andando tutto bene. Ci mobiliteremo, come potremo. Non rinunciamo a far sentire forte la nostra voce.”

Un primo provvedimento per le Rsa è contenuto nel Dpcm firmato dal premier Conte a ottobre, e che resterà in vigore fino al prossimo 13 novembre. “L’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (Rsa), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, è limitata ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione”.

Il rischio è che, ancora una volta, il tema sia quello di isolare gli anziani, a casa o in una Rsa, poco importa.

Come ha ricordato Alberto De Santis presidente di Anaste (Associazione Nazionale Strutture Terza Età) in un’intervista all’Huffinghton Post, “il governo ha legiferato su tutto, ma non sulle strutture residenziali per anziani. Ci aspettavamo interventi precisi e dedicati. In particolare, ci si attendevamo misure specifiche e puntuali per il controllo periodico dei dipendenti, attraverso un piano di effettuazione di tamponi a brevi intervalli; la organizzazione di squadre di operatori sanitari (infermieri ed OSS) pronti a intervenire in sostituzione degli operatori assenti per malattia o posti in quarantena; un’attività prioritaria per la copertura vaccinale del personale e degli ospiti; un piano di formazione nazionale ben articolato e infine un supporto concreto, in termini di contributo economico a rimborso parziale dei maggiori costi sostenuti per personale e Dispositivi di protezione individuale”.

Il risultato è che “ancora una volta si è ribaltata tutta la responsabilità sulle strutture, e a questo punto i direttori sanitari non possono fare altro che chiusure rigorose”.