Ai bimbi una fiaba, ai nonni un disegno #5

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Ci sono nonni che in questi giorni di quarantena non possono vedere i propri nipoti. Possono sentirli al telefono, incontrarli in video chat, scrivere loro un messaggio. Ma non è la stessa cosa. Un abbraccio, un pomeriggio da passare insieme, sono desideri che in questa situazione fanno sentire ancora di più la distanza, il distacco da un affetto così vero.
Ma c’è un segreto che aiuta a superare tutto questo. Sono le favole, quelle che aspettano solo di essere scritte e raccontate. Quelle favole che, come Gianni Rodari ci ha insegnato, descrivono sentimenti ancora veri e nella loro semplicità ci fanno riconoscere.

Provate a scriverne una e, se già ce l’avete, tiratela fuori. Bambine, bambini e tanti nostri nipoti sogneranno viaggi e avventure, impareranno dalle storie e vivranno tante vite. Con la fantasia, i muri di casa spariranno. E in cambio della vostra fiaba, se volete, potrete chiedere ai vostri nipoti un disegno che illustri la storia che avete inventato o che dia semplicemente spazio alla loro immaginazione.
La partecipazione è aperta anche a chi nonno non è, e anche a tutti i nonni che in questo periodo di emergenza stanno vivendo anche con i propri nipoti. Inviate le vostre favole e i disegni dei bimbi a: redattore@libereta.it. Le più belle storie verranno pubblicate sul nostro sito e anche sul nostro giornale. 


Micia la gatta fortunata

di Nadia Galli

Mi chiamo Micia. Qualcuno mi abbandonò, mi mise in un sacco e mi gettò dentro un magazzino. Per alcuni giorni rimasi frastornata, sentivo voci che non mi erano familiari. La notte piangevo e speravo che i miei miagolii fossero uditi da qualcuno. Ma nessuno apriva quel magazzino. Qualcuno alla fine si è commosso, ho udito girare la chiave della porta del magazzino e sono fuggita fuori, ho solo udito una voce che diceva: «Un micio, un micio bianco. Come sarà arrivato qui».

Sono rimasta nascosta nella campagna e ascoltavo quella voce femminile che diceva: «Metto qui la ciotola dell’acqua e della pappa per il micio bianco».

Come potevo fidarmi quando sono stata tradita da chi mi aveva ospitata per qualche mese? La sera andavo a mangiare la pappa che mi lasciava la voce femminile e bevevo nella ciotola. Poi mi nascondevo.

Un giorno presi coraggio, mi sono avvicinata alla casa e ho aspettato davanti alla porta. La donna con la sua solita voce mi ha fatto il ritratto: «Micio, come sei bello, vedo che hai una chiazza nera sul musino, se fossi femmina ti chiamerei Marylin».

Ma come dirle che io ero una micia? Venne febbraio e un micione passò a farmi compagnia. Veniva la sera, era bello e grigio striato di bianco e nero. Dopo qualche mese mi sono resa conto che la pancia mi si appesantiva. La voce femminile esclamava: «Ma il micio non è un micio, è una micia, aspetta i micini». E così è stato.

Iniziava a fare caldo, la voce femminile aveva preparato una cesta, io mi allontanavo poco dal cortile. Poi un giorno di maggio, mi sono sentita dolorante e mi sono nascosta tra le casse di quel magazzino che era stato il mio nascondiglio.

Sono nati cinque gattini e io dovevo allattare una cucciolata numerosa. La famiglia che mi aveva accolta non vedendomi ha cominciato a chiamarmi, a volte “micio”, a volte “micia”, a volte “Marylin”. Poi ho presentato i miei cuccioli. «Che belli» dicevano i familiari. La voce familiare veniva a trovarci e quando i cuccioli hanno cominciato a uscire dalla cesta, lei gli cantava una nenia, «biricchini, furbi, biricchini, furbi!». Quando, a quel suono i cuccioli si avvicinavano, lei gli imbastiva un’altra nenia, accorciando le parole e togliendo il suono forte delle erre di furbi e biricchini: «Tu sei fubbo, tu sei bicco, tu sei fubbo, tu sei bicco».

Quella melodia è diventata un’abitudine, ed è nata la “canzone dei bicchi”. Così, a ciascun bicco, la voce femminile ha dato un suono melodioso, loro si mettevano in fila orizzontale, uno di fianco all’altro e lei intonava loro: «Tu sei bicco rosa, tu sei bicco neo, tu sei bicco marron, tu sei bicco terribile, tu sei bicca femmina». Nella cantilena ciascuno aveva nome, cognome e connotati.

Ora viviamo insieme nelle ceste di vimini, ciascuno mangia nella propria ciotola. Durante il giorno corriamo nel cortile, rincorriamo le foglie, osserviamo le farfalle e se qualche toposi trasferisce dalla campagna al nostro cortile, proteggiamo il nostro territorio.

I miei piccoli sono grandi quanto me, sono tutti birbanti e in modo scherzoso, la voce femminile dice: «Dove sono i miei fubbi, e i miei bicchi? E mamma micia?». E io mi presento seguita dai cuccioli che si rincorrono, che vogliono primeggiare tra di loro e che le miagolano con il musetto all’insù. I mici sono davvero indisciplinati, corrono sugli alberi, si rifanno le unghie strappando la corteccia, si dondolano agguantando i panni stesi, a volte fanno la pipì nell’angolo della casa e io gli do una zampata, perché debbono imparare il rispetto di tutto.

Che fatica insegnare loro che non debbono allontanarsi dal cortile e debbono stimare i pericoli. Non debbono togliere la terra dai vasi dei fiori e non debbono farsi i dispetti.

Ora che sono mamma micia, e lo sono a tempo pieno, mi rendo conto che ho molte responsabilità. Cinque piccoli birbanti che debbono diventare autonomi.

La sera, la voce femminile ci chiama, mette le crocchette nelle ciotole e i mici le fanno capannello attorno, poi la foga di mangiare fa ribaltare le ciotole, così debbo stare accanto a loro, ancora una volta, per ricordargli che sono maldestri.

E, finalmente, la voce femminile dice: «Tutti a nanna, ciascuno nella propria cesta», ma non è così, si addormentano anche due o tre mici in una cesta. Ora che è inverno le cucce hanno tante maglie di lana, a volte i cuccioli giocano dentro la cuccia. Qualche “bicco”, più birichino dei fratelli pensa di riuscire a indossare una vecchia maglia, senza capire che la maglia ha le fattezze per una persona e non per noi che abbiamo quattro zampe.

E finalmente, la sera arriva anche per me e, dopo che li ho visti sonnecchiare, anche io, dato l’ultimo sguardo, mi addormento.

 


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