A Piazza Fontana perdemmo l’innocenza

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La bomba nella Banca dell’agricoltura a Milano che uccise nel 1969 diciassette persone, aprì una delle pagine più terribili della storia della nostra Repubblica. Mattarella: “Democrazia seppe difendersi dopo piazza Fontana”

La memoria cancellata. Un sondaggio, condotto nel 2006 su un campione di mille studenti milanesi tra i 17 e i 19 anni, rivelò che neanche il 10 per cento degli interpellati attribuiva la responsabilità della strage di piazza Fontana al- l’eversione di destra, mentre per il 60 per cento la bomba era stata messa dalle Brigate rosse e per il 20 per cento dalla mafia. La cancellazione sistematica della nostra memoria civile nel frattempo è andata avanti e lo stesso sondaggio darebbe oggi risultati peggiori. Almeno due generazioni di italiani – ha osservato Carlo Bonini, giornalista di Repubblica – hanno confusamente afferrato quelle due parole (piazza Fontana) nelle discussioni dei loro genitori senza mai riuscire a vestirle di senso. A chi invece conserva vivo il ricordo della strage non pare vero che siano trascorsi cinquant’anni.

Milano, 12 dicembre 1969, pomeriggio di venerdì, giorno di mercato. La sede della Banca dell’agri- coltura in piazza Fontana è affollata da coltivatori e commercianti agricoli, venuti dalla provincia per trattare i loro affari. L’orologio segna le 16,37 quando il salone centrale viene investito da una tremenda esplosione con un boato che scuote l’intero centro cittadino. I primi che ac- corrono si trovano davanti a una scena raccapricciante: calcinacci e sangue dap- pertutto, corpi senza vita e orrendamente mutilati, urla di terrore e invocazioni d’aiuto. Il conto delle vittime sarà di di- ciassette morti e 87 feriti. Si pensa a una fuga di gas ma ci vuole poco per capire che si tratta di una bomba: sette chili di tritolo, nascosti in una borsa.

In quello stesso pomeriggio altri tre ordigni esplodono a Roma – due ai lati dell’Altare della patria e uno alla Banca nazionale del lavoro in via Bissolati – provocando sedici feriti. Una quinta bomba a orologeria viene rinvenuta ineplosa nella sede della Banca commerciale italiana in piazza della Scala a Milano. L’ordigno, che potrebbe fornire preziosi riscontri per le indagini, viene però fatto brillare: è il primo segno di una sistematica opera di occultamento delle prove e di depistaggio.

Le indagini deviate. Gli inquirenti, in ossequio all’imperante teoria degli “opposti estremismi”, assicurano di indagare in tutte le direzioni. In realtà si segue una sola pista, quella anarchica, che nel volgere di pochi giorni porta a individuare come autore della strage il ballerino Pietro Valpreda. La morte di Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico precipitato da una finestra della questura di Milano nel corso di un estenuante interrogatorio, viene presentata come un suicidio che equivarrebbe a un’ammissione di colpa.

La strumentalizzazione della strage
a fini politici fu subito chiara vista
la direzione che prendono le indagini. Serve una pista rossa: ecco Valpreda

Con rare eccezioni, i giornali e la televisione sposano in pieno le conclusioni degli inquirenti e si scatenano contro il “mostro”, colpevole prima ancora di essere riconosciuto tale dai giudici. La controinformazione. Mentre Valpreda patisce una lunga carcerazione preventiva il caso è ufficialmente chiuso; ma non per un pugno di giornalisti impegnati in una coraggiosa opera di “controinformazione” che anticipa quelle verità emerse con chiarezza molti anni dopo.

Si delineano i contorni di quella che viene subito etichettata come “strage di Stato”, poiché a essere chiamati in causa sono pezzi importanti dell’apparato statale, a cominciare dal Sid, il servizio segreto militare. Si scopre che il timer utilizzato per la bomba è stato acquistato a Treviso, dove i magistrati Stiz e Calogero avviano un’inchiesta che rivela il coinvolgimento nella strage di una cellula neofascista padovana.

La pista nera. Vengono alla ribalta i nomi di Franco Freda e Giovanni Ventura e poi quello di Guido Giannettini, agente del Sid. I risultati dell’inchiesta sono trasmessi a Milano, dove i magistrati D’ Ambrosio e Alessandrini hanno appena il tempo di portare a galla le connessioni tra i terroristi neri e il Sid prima che l’indagine venga loro sottratta.

Quale fu il ruolo dei servizi segreti nei continui depistaggi? Questo inquietante interrogativo resta ancora senza risposta

I tanti processi celebrati, con trasferimenti da una sede all’ altra, imputati che vanno e vengono, imbarazzati “non ricordo” di testimoni eccellenti, sentenze annullate e contraddette da successive sentenze, non consentono di giungere a una definitiva verità giudiziaria.

Tuttavia negli anni Novanta grazie al lavoro del giudice Guido Salvini, che ottiene preziose testimonianze da ex membri di Ordine nuovo, viene riconosciuto il ruolo avuto nella strage da Freda e Ventura. Le ultime sentenze, emesse nel 2004 e nel 2005 dal tribunale di Milano, confermano l’ impianto accusatorio di Salvini, ma i due neofascisti evitano il carcere perché già assolti in via definitiva nel 1987 per gli stessi fatti.

La strategia della tensione. Nessuno contesta più la verità extragiudiziale da tempo affermata da storici come Giorgio Boatti, che considera piazza Fontana parte di quella strategia di contenimento, con qualsiasi strumento, di ogni mutamento nell’assetto politico del paese. In particolare le bombe di Milano «sciolgono nel sangue i nodi dell’ autunno caldo» allo scopo di ridisegnare i rapporti di forza usciti da una dura stagione di lotte sindacali e di grande mobilitazione sociale.

(Pezzo uscito il numero di LiberEtà del dicembre 2019)

Il mesaggio di Matterella. “Sono trascorsi – ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Matterella – 53 anni dal feroce attentato che provocò nel cuore di Milano morti e sofferenze, sconvolgendo la coscienza del popolo italiano, con l’intento di minacciare le istituzioni della Repubblica”.

Avvertiamo – continua – il dovere di ricordare, con la stessa intensità di sempre, l’impegno di cui Milano per prima fu interprete e che consentì al Paese intero di sconfiggere le strategie eversive neofasciste e le bande terroristiche di ogni segno che insanguinarono la non breve stagione che seguì alla strage.

Fu una delle terribili prove da cui la Repubblica seppe uscire rafforzata nei suoi valori costituzionali e nell’unità del suo popolo”.