Che valore ha oggi il lavoro? Immenso per l’operaia della Saga Coffee di Gaggio
Montano sull’Appennino bolognese che ha lottato novantasette giorni per
impedire la delocalizzazione della fabbrica. Pari a zero, invece, per il giovane che
si arrabatta tra un lavoretto e l’altro per mettersi in tasca pochi euro, senza sapere
cosa farà domani. In questo scarto si misura il livello delle disuguaglianze, entrate
di prepotenza proprio là dove il principio di uguaglianza di classe è per definizione
più forte.
L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. La nostra storia democratica, nel secolo scorso, è cominciata da qui si è sviluppata nella stagione delle lotte degli anni Settanta con la conquista di diritti importanti. Ma oggi abbiamo fatto passi indietro. Il lavoro ha perso centralità e valore identitario, non esprime più quella che Antonio Gramsci chiamava egemonia, una forza capace di cambiare il mondo.
Basta un messaggio WhatsApp per licenziare un dipendente, delocalizzare un’impresa,
assumere a chiamata un operaio generico. Tutto ciò è avvenuto prima del coronavirus e della devastazione umanitaria che Putin ha prodotto in Ucraina.
Questa svalorizzazione è cominciata molto tempo addietro e ha avuto conseguenze regressive nell’idea stessa di futuro che possono farsi i giovani d’oggi. L’impoverimento del lavoro è stato lento ma costante nel tempo.
C’entrano senza dubbio la globalizzazione dell’economia, il potere della finanza, la delocalizzazione delle unità produttive, la precarizzazione del lavoro, la riduzione del potere contrattuale dei sindacati. C’entrano tante cose. Ma la domanda da porsi oggi è una: come ridare valore al lavoro?
Il presidente della Repubblica, nel suo bellissimo discorso al Parlamento, ha lanciato un monito alla classe politica. Le disuguaglianze non possono essere il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno. È ora che la politica – ha esortato Sergio Mattarella – assuma questo impegno come suo centro di gravità permanente (…).
(Puoi leggere la versione integrale di questo articolo sul numero di maggio di Liberetà)