Tra le migliaia di “vite sospese” dell’emergenza coronavirus, vi sono quelle di Francesca e di sua madre, ricoverata da gennaio in una casa di riposo romana. La mamma soffre di una malattia di tipo cognitivo e non è autosufficiente. Francesca l’ha vista per l’ultima volta lo scorso 4 marzo.
A metà mese l’epidemia si è abbattuta in tutta la sua virulenza sulla struttura gestita da una fondazione religiosa, e anche la mamma di Francesca ha contratto il virus, per fortuna in maniera asintomatica. Ma da allora è cominciata una lunga attesa fatta di comunicazioni difficili, se non assenti, e certezze svanite nel giro di pochi giorni.
“ Mia madre – racconta – si trovava lì, perché purtroppo la badante con la quale viveva è tornata a casa per motivi familiari. Ci sembrava la soluzione migliore. Quando è scoppiata la pandemia io mi sono sentita tranquilla, in quella struttura avevano tanto personale sanitario e ho pensato che quello potesse essere un luogo sicuro per lei”.
E invece non è stato così. Il 19 marzo Francesca chiama in struttura per sincerarsi delle condizioni della madre. “Una segretaria mi aveva rassicurato che tutto andava bene”.
Richiama il giorno dopo ma, contrariamente alle attese, un’assistente le dice che non può parlare con sua madre, e di fronte alle sue insistenze, le ha risposto di essere una incosciente. “Nei giorni successivi precipito in una dei periodi più brutti della mia vita: apprendo da un medico che due operatori sono risultati positivi al covid e che il 20 marzo la Asl ha preso in carico la casa di riposo. Il 24 marzo ho parlato con un’altra persona della struttura che mi ha tracciato un quadro molto drammatico della situazione: gli ospiti e il personale erano stati messi in quarantena all’interno della casa, e la situazione era tale per cui negli ultimi tre giorni non erano riusciti nemmeno a garantire i pasti. Gli ospiti erano stati lasciati a letto, senza cure. I nostri cari, per la maggior parte non autosufficienti, tutti con svariate patologie, nell’ultima settimana in casa di riposo hanno vissuto l’inferno”.
A quel punto i familiari allarmati si riuniscono e decidono di allertare la stampa. La priorità è far uscire gli ospiti dalla casa di riposo. “Il 26 apprendiamo dalla Asl gli esiti dei tamponi. Buona parte degli ospiti risulta positivo al test. Lì ci è caduto il mondo addosso. Veniamo a sapere dei primi ospiti morti e altri in condizioni gravi. Anche ora alcuni di loro sono in terapia intensiva con la polmonite e rischiano la vita. Tra i positivi c’è anche mia madre che per fortuna ha contratto la malattia in maniera lieve, senza problemi respiratori. Ma conosco gli altri familiari e posso capire il loro dolore. Il loro dolore è anche il mio dolore”.
E ora? Tra il 26 e il 27 marzo tutti gli ospiti della struttura vengono trasferiti. La madre di Francesca rimane per quindici giorni in ospedale, quindi viene portata in una Rsa di Frosinone. “Continuo a vivere in modo drammatico questa vicenda, anche se con minore intensità, perché ormai so che mia madre è stata presa in carico. Ma la comunicazione con le strutture in cui mia madre è stata spostata è sempre stata limitata. Quando era in ospedale sono stata contattata quattro volte dai medici, che mi hanno aggiornato sulle sue condizioni. Sono anche riuscita a vederla in videochiamata. Ma da quando è stata spostata nella Rsa, ho parlato solo una volta con un dottore. Non sono riuscita ad avere contatti con lei”.
Tra i sentimenti contrastanti che vive in questi giorni, l’idea di come stia vivendo la mamma l’assilla, la tormenta. “Mi chiedo come lei possa stare, in isolamento, in luoghi sconosciuti, senza il contatto con i figli. Al di là di come mi possa sentire io, sono preoccupata per come lei possa vivere questa situazione. L’ultima volta che l’ho vista in video-chiamata non parlava quasi più. Chiaramente questi eventi sono stressanti”. E aggiunge: “E’ una strage silenziosa, perché nessuno poi ne parla più. E questa è la cosa drammatica. In quella casa di riposo c’è stato un problema di gestione superficiale perché non è possibile che sia esploso tutto all’improvviso. Credo ci sia stata una grande sottovalutazione di ciò che stava accadendo”.
“Ma secondo me il problema – conclude – è anche più ampio: mi chiedo se le autorità competenti avessero diramato un protocollo di comportamento per queste strutture, o se è stata questa casa di riposo a ignorare le direttive che provenivano dall’alto. Ecco, io penso che abbiamo il diritto di sapere la verità su quello che è accaduto”.