Rsa, ecco il sistema pubblico che funziona e difende gli anziani

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sanità sistema pubblico che funziona

Fase 2 tra dubbi e incertezze
Nelle Rsa di tutta Italia la situazione emergenziale sta pian piano rientrando ma il coronavirus non è scomparso e per tanti anziani il ritorno alla normalità è ancora lontano, soprattutto per chi è ricoverato in una rsa dove le misure di distanziamento sociale ora sono più dure che mai. E anche nelle Marche, come altrove, ci sono stati tanti, troppi, decessi. Anche qui i sindacati dei pensionati si sono mobilitati sin da subito chiedendo incontri costanti ai prefetti, ai sindaci, monitorando la situazione nelle Asl e nelle Rsa, chiedendo che venissero adottate tutte le misure necessarie.

Bilanci e responsabilità
Ora è tempo di bilanci. E non sono dei migliori. Ne abbiamo parlato con il segretario generale del sindacato pensionati Cgil delle Marche, Elio Cerri, che dice senza troppi giri di parole: “Si è pagato un prezzo troppo alto in vite umane, nel territorio e nelle Rsa”. Le Marche sono state uno dei fronti più colpiti dal coronavirus. “Noi ci siamo mossi subito iniziando a monitorare e chiedendo di effettuare controlli. Il 30 marzo abbiamo incontrato la Regione presentando il documento frutto del nostro lavoro che aveva appurato come ci fossero strutture non contaminate, altre con i primi accenni di covid-19 e altre ancora dove invece il virus era già molto presente”. A questo punto, il sindacato ha fatto pressione sulle Regione perché intervenisse: “Ma le responsabilità sono state scaricate sugli operatori sanitari che hanno dovuto operare in forte precarietà”, spiega Cerri. “Abbiamo chiesto di isolare i contagiati, questo in alcune piccole case di riposo però non era possibile. Allora abbiamo chiesto di trovare soluzioni all’esterno. Di sicuro l’emergenza non è stata affrontata come si doveva, qualcosa è stato fatto, ma molto lentamente e con forti ritardi”.

Le esperienze positive dei familiari
Ma oltre alle tante, troppe, esperienze negative, ai troppi contagi, ai troppi decessi, ai troppi drammi vissuti da tanti anziani e da tanti familiari, ci sono anche delle esperienze positive che vale la pena raccontare. Come quella di Pierangela. Sua madre ha ottantotto anni, non cammina ormai da tempo ed è ricoverata in una residenza per anziani di Fossombrone in provincia di Pesaro Urbino.
Pierangela ci racconta che la sua esperienza è stata positiva. “Appena si è saputo che c’era il virus, e che avrebbe potuto colpire soprattutto gli anziani, nella rsa in cui era ricoverata mia madre hanno chiuso subito l’ingresso ai parenti. Sono stati tutti molto cauti e prudenti, ancor prima che arrivassero le misure nazionali, insomma molto prima del decreto e del lockdown”. Poteva accedere solo il personale. E la struttura si è subito attrezzata per fare le videochiamate con i parenti, quindi il legame è rimasto vivo per tutto questo periodo. Mariangela ancora non può vedere la mamma ma la sua voce è serena ed è contenta che tutti i pazienti ricoverati siano stati protetti e stiano ancora bene. “Ha funzionato bene, dall’amministrazione ai medici, dalla caposala agli infermieri. Pensiamo soltanto che a un chilometro di distanza c’è un’altra residenza per anziani in cui ci sono stati molti decessi”.

Le esperienze positive di sanità pubblica
Ma nelle Marche ci sono molte altre strutture che per fortuna hanno funzionato. Come le residenze per anziani della rete IRCR che è un’azienda pubblica di servizi alla persona. Una realtà assolutamente peculiare. “La nostra esperienza dimostra che le realtà pubbliche possono comprare velocemente migliaia di calzari, occhiali, mascherine, possono essere veloci, possono essere efficienti, possono stabilire procedure diverse per le persone isolate, possono affrontare al meglio le emergenze”. A parlare è Francesco Prioglio, direttore generale dell’azienda. “Non appena si manifestavano i primi sintomi, i pazienti venivano isolati immediatamente e il personale veniva dotato di tutti i dispositivi di protezione individuale. Abbiamo fatto moltissimi tamponi alle persone ricoverate, di concerto con il medico di base”. Risultato? Nelle sei rsa della rete non ci sono stati decessi. E tutte le persone con sintomi sono risultate negative.

La rete IRCR gestisce sei residenze per anziani in provincia di Macerata, dal mare alla montagna, per un totale di 270 posti letto, ed è una struttura pubblica. “Abbiamo unito le risorse, i responsabili per la sicurezza sono stati fondamentali, come l’ufficio tecnico, l’ufficio legale, l’ufficio acquisti. Tutti hanno dato il proprio contributo per affrontare l’emergenza”, spiega Prioglio. “Abbiamo dovuto cambiare gli spazi, ripartirli, creare percorsi dedicati e abbiamo dovuto interrompere anche le attività di una delle nostre strutture centrali che ospita un nido e la facoltà di Scienze infermieristiche. Qui circolavano centinaia di persone. Queste attività le abbiamo dovute ripensare, per evitare interferenze, e abbiamo elaborato percorsi diversi tra gli ospiti della rsa e chi gravitava attorno all’asilo nido e alla Facoltà. E poi, quando è arrivato il lockdown, abbiamo chiuso nido e università, ma noi sin dall’inizio avevamo elaborato percorsi ad hoc per rendere la convivenza possibile, in sicurezza”.
Un’esperienza significativa che dimostra come le cose possano funzionare bene, se bene organizzate.

E se è andato tutto bene è anche merito del duro lavoro di operatori sanitari e infermieri che si trovano a lavorare in condizioni difficili. “Tra le varie cose, dobbiamo anche far fronte alla difficoltà di comunicare con gli ospiti, indossando tutti i dispositivi di protezione individuale”, spiega Lorenzo Pennacchietti, coordinatore infermieristico delle strutture IRCR Macerata. “Indossiamo la mascherina e gli ospiti possono vedere solo gli occhi e per chi soffre di demenza è un grande problema”. I dipendenti sono ottanta e poi ci sono tutte le cooperative che ruotano attorno alla rete. Un esercito al servizio di tante persone non autosufficienti bisognose di assistenza.

E poi c’è il senso di comunità. “Tutti i fatti che sono accaduti ci hanno unito”, dice Prioglio. “La parola più moderna che oggi c’è è proprio ‘comunità’. Attraverso circostanze, decisioni, protocolli, misure, procedure, la nostra comunità si è rafforzata nella difficoltà. La comunità si è riconosciuta insieme e per questo la nostra struttura ha funzionato”.

Ma la comunità dell’IRCR ha funzionato anche fuori, nella comunicazione con i familiari dei pazienti ricoverati. Non solo sono stati messi a disposizione degli anziani dei tablet per le videochiamate, ma sono state realizzate anche attività di animazione, riflessione e condivisione legate all’emergenza Covid, proprio per socializzare anche le paure e i disagi e affrontarli insieme nel miglior modo possibile.

La rete IRCR ha anche istituito un numero verde insieme al Comune di Macerata e ha coordinato tutte le attività sul territorio: “sono stati assunti quattro ragazzi e abbiamo coordinato anche l’assistenza domiciliare e la consegna dei beni di prima necessità, che è partita subito, dal 25 marzo”, conclude Prioglio, con la fierezza di chi sa di aver fatto molto per il territorio in termini di welfare.

Le prospettive per il futuro
In questi mesi per gli anziani non autosufficienti si sono ridotti i servizi di assistenza domiciliare, dalle pulizie all’infermiere al fisioterapista. Per questo il sindacato sta facendo pressione affinché queste prestazioni domiciliari possano riprendere al più presto, proprio per ridare ai più deboli un orizzonte di normalità.

Ma la situazione più difficile è quella delle Residenze per anziani. Nelle Marche come altrove (ne abbiamo parlato per esempio a proposito della Liguria), il sindacato chiede a gran voce che le residenze per anziani diventino delle strutture socio-sanitarie in modo tale da avere la presenza costante di un medico geriatra in grado di affiancare persone molto anziane e spesso molto non autosufficienti.
“E poi bisogna immaginare a spazi dedicati per altre situazioni emergenziali, qualora dovessero capitare in futuro”, ci spiega Cerri. “Bisogna essere pronti in tutti i modi, avere sempre a disposizione i mezzi di protezione individuale, pensare a percorsi ad hoc per i malati, sistemi di isolamento”. E poi c’è la formazione degli operatori sanitari. Bisogna investire di più e in modo permanente, “solo così potremo essere pronti a fronteggiare esperienze come queste”, prosegue Cerri.

C’è poi il grande problema del sistema di accreditamento delle rsa private: “va assolutamente rivisto, vanno riviste le convenzioni e i criteri”, conclude Cerri. “E una cosa è certa: indipendentemente dall’ambito di competenze dei vari soggetti coinvolti, è necessario che chiunque abbia un ruolo deve esercitarlo pienamente. La Regione avrebbe potuto fare di più e invece nel rimpallo di responsabilità spesso alla fine si è rimasti bloccati e non si sono fatte cose che invece era fondamentale fare”.

E resta un altro problema aperto, quello delle famiglie che vogliono riportarsi a casa i parenti ricoverati nelle rsa, o di chi aveva pensato di ricoverare un proprio caro in una casa di riposo ma invece preferisce accudirlo a casa. Ecco, per tutte queste persone sorge il problema di quale servizio di domiciliarietà offrire, con quali strumenti, quali risorse, sia economiche che umane.

E allora, che le esperienze positive come quelle dell’IRCR Macerata possano essere da esempio e da apripista per un ripensamento complessivo del sistema di welfare sul territorio.