“Riprendiamoci la libertà” Contro la violenza alle donne, manifestazioni in tutta Italia

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Oltre 100 le iniziative promosse dalla Cgil per firmare l’appello “Avete tolto il senso alle parole”: dal giornalismo alla politica, alle istituzioni, ciò che si chiede è un drastico cambiamento nel linguaggio usato – pieno spesso pregiudizi e insulti ­ quando si parla delle donne.In piazza anche i coordinamenti donne Spi Cgil.

 

“Riprendiamoci la libertà”, non è solo lo slogan ascoltato nelle cento piazze d’Italia in cui, il 30 settembre, si sono tenute le manifestazioni a sostegno delle donne promosse dalla Cgil. Per le tantissime donne presenti, stavolta insieme anche tanti uomini, quel “Riprendiamoci la libertà” suona come la necessità di cancellare, dagli individui alla scuola, dai media alle istituzioni, il linguaggio profondamente maschilista che innerva tutta la società e che quotidianamente si traduce in atteggiamenti violenti, quando non nei comportamenti, verso le donne.

«È un problema di noi uomini», aveva detto giorni fa il presidente del Senato, Grasso parlando della violenza di genere. Di lì a poco però, un rappresentante delle istituzioni commentava la notizia dell’ennesimo stupro di una donna dicendo: «se vanno vestite così un po’ se la cercano».

Se col linguaggio esprimiamo ciò che siamo e come pensiamo, l’appello “Avete tolto il senso alle parole” firmato dai migliaia di partecipanti alle manifestazioni del 30 settembre, è quanto mai attuale. È stato così a Roma, dove, in piazza Madonna di Loreto, è intervenuta la leader della Cgil Susanna Camusso ed è stato così nelle cento piazze in cui l’iniziativa si è tenuta e alla quale hanno preso parte anche i coordinamenti donne dello Spi Cgil.

Rappresentanti di un movimento che ha segnato, con la loro lotta per il diritto all’emancipazione della donna nella società, la più grande rivoluzione culturale nel Paese. Una rivoluzione che, per completare il suo iter, ha bisogno della consapevolezza, negli uomini, di quanto retrogrado e incivile, ma purtroppo ancora così diffuso, sia il loro “machismo”. Che non si esprime solo nei singoli, ma come sistema sociale.

La segretaria generale della Cgil lo ha sottolineato, ad esempio,  la gravità della depenalizzazione dello stalking, decisa dal Parlamento, che potrà essere scontato in alcuni casi pagando una multa.

E ha puntualizzato come anche il giornalismo non sia immune da un linguaggio che non sempre usa le parole giuste per raccontare la violenza alle donne: «quando deve raccontare di uomini torturati, usa appunto la parola ‘tortura’ senza usare giri di parole. E quando invece si parla di stupri, perché bisogna conoscere i particolari di chi lo ha subìto? Perché si deve sapere come una donna era vestita, le strade che frequenta o altre informazioni del genere, che ci umiliano? Basta con i dettagli morbosi. Non se ne poteva più dell’idea che ci sia bisogno dei particolari per descrivere la violenza, perché non si ha il coraggio di discutere della ragione percui gli uomini la esercitano?” ha chiesto Camusso, che poi ha aggiunto: “Basta con i silenzi assordanti, deve cambiare il modo in cui si discute, la sensibilità e come si applicano le leggi. A volte sembra sia più importante chi sia lo stupratore e non cosa abbia subìto la donna».

Violenza alle donne, dati che parlano chiaro. Nel 2016 sono state uccise 116 donne, una ogni tre giorni: nel 92% dei casi a ucciderle è stato un uomo. Sempre lo scorso anno, i maltrattamenti in famiglia sono stati 13.000. Nonostante il numero verde 1522 che offre
assistenza a chi si sente minacciata, non si contano i casi di stalking. Nel 60% dei casi, le donne sono state picchiate dal marito, dal padre o da un compagno.