Riprendiamoci l’energia. Le comunità energetiche contro la crisi

0
556

Il fenomeno delle comunità energetiche rinnovabili si sta diffondendo in tutta Europa. E anche in Italia, nonostante le lentezze burocratiche, si stanno muovendo i primi passi. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che permetterà la produzione e la condivisione di energia pulita, l’abbattimento dei suoi costi e la riduzione di emissioni di CO2

(L’articolo, a firma di Aldo Gara, è tratto dal numero di dicembre 2022 di LiberEtà, clicca qui per abbonarti al nostro mensile)

Addio ai grandi produttori. A portarci in casa l’energia di cui abbiamo bisogno non saranno più i grandi produttori da fonti fossili e i grandi e piccoli distributori. Stavolta i protagonisti della rivoluzione che segnerà il passaggio verso una nuova era saranno cittadini, istituzioni, commercianti e aziende: uniti in piccole e grandi comunità energetiche rinnovabili (Cer), potranno dotarsi di impianti per la produzione e la condivisione di energia pulita da fonti rinnovabili. Una forma di mutuo aiuto e, allo stesso tempo, un processo democratico che attraverso lo sfruttamento del vento, del sole e dell’acqua, consentirà di produrre energia a chilometri zero e di liberare le famiglie dalla totale dipendenza dal gas, dal petrolio e soprattutto dal conto salato delle bollette con un abbattimento dei costi dell’elettricità stimato tra il 25 e il 30 per cento. Inoltre, se la comunità produrrà più energia rispetto al proprio fabbisogno potrà venderla a prezzi sostenibili a chi, all’interno della comunità, non può permettersi un impianto fotovoltaico, una pompa di calore o una pala eolica; oppure cederla, a pagamento, alla stessa rete elettrica.

Cittadini coinvolti. Con le comunità energetiche i cittadini saranno direttamente coinvolti nelle scelte relative allo sviluppo della propria rete di distribuzione di energia pulita e, per risparmiare ancora di più sulla bolletta, nel miglioramento dell’efficienza energetica delle proprie abitazioni, con il risultato di contribuire all’abbattimento di anidride carbonica e di altre sostanze inquinanti. La rivoluzione, con differenze sensibili tra i vari paesi, è già iniziata in tutta Europa. Secondo la guida che l’Enea dedica alle comunità energetiche, entro il 2050 circa 264 milioni di cittadini europei diventeranno produttori, con la possibilità di generare fino al 45 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili e raggiungere la neutralità climatica. Attualmente, rivela il Sesto rapporto sullo stato dell’Unione dell’energia, nel vecchio continente sono attive circa settemila comunità energetiche che coinvolgono sette milioni di abitanti.

La direttiva europea. «Un’idea nata dal basso attorno al 2010 nelle associazioni ambientaliste europee grazie all’avvento dei pannelli solari – ricorda la rivista specializzata Green&Blue –. La spinta sostanziale viene però data nel 2018 con la direttiva europea che sancisce il diritto all’autoconsumo energetico approvata per bloccare iniziative dei singoli Stati contro il fotovoltaico. Nel 2015 il governo spagnolo di Mariano Rajoy, del Partito popolare, aveva pubblicato il regio decreto 900/2015, con il quale si applicava una serie di tasse e sovrattasse alle installazioni di rinnovabili per proprio consumo. Venne battezzata la “tassa sul sole”. Da qui l’articolo 21 della direttiva europea che dà potere ai consumatori consentendo loro un autoconsumo senza restrizioni indebite e di essere remunerati per l’elettricità che immettono nella rete».

I numeri in Italia. In Italia, secondo Legambiente che le ha censite nel rapporto Comunità rinnovabili 2022, sono cento le comunità energetiche: 35 operative, 41 in progetto e 24 in via di costituzione. Tra queste, 59 sono quelle nuove, censite tra giugno 2021 e maggio 2022, che coinvolgono centinaia di famiglie, decine di Comuni e di imprese. Restano comunque numeri «drammaticamente insufficienti – secondo Stefano Ciafani, ingegnere ambientale e presidente nazionale di Legambiente – per affrontare il caro bollette e l’emergenza climatica e per liberarci dalla dipendenza dall’estero. Numeri piccoli che rischiano di farci raggiungere l’obiettivo di 70 Gigawatt di potenza di nuovi impianti da fonti rinnovabili tra 124 anni, se calcoliamo la media di installazione degli ultimi tre anni, pari a 0,56 GW». Dati che stridono rispetto alle enormi potenzialità di sviluppo. Uno studio del Politecnico di Milano, Electricity market report, rivela che «entro il 2025 si potrebbe arrivare a quarantamila comunità energetiche in grado di fornire energia a 1.200.000 case, duecentomila uffici e diecimila piccole e medie imprese».

Le cause dei ritardi. Sui ritardi accumulati nel nostro paese, Marco Raugi, ingegnere elettronico e primo docente universitario al mondo a tenere un corso in comunità energetiche all’università di Pisa, dice: «C’è molta incertezza sulle normative vigenti,mancano i decreti attuativi. In generale, la normativa italiana attuale è abbastanza restrittiva ». Nel nostro paese il percorso che consente la creazione delle comunità energetiche è cominciato con il decreto legge 162/2019 e con il il decreto Milleproroghe 2020, in piena pandemia, con i quali le comunità energetiche sono state riconosciute giuridicamente. Da allora si è in attesa dei decreti attuativi per sciogliere tutti gli impedimenti che ostacolano lo sviluppo di un settore che creerebbe un indotto di miliardi di euro e migliaia di posti di lavoro. Solo per i Comuni con meno di cinquemila abitanti, sulle comunità energetiche il Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede uno stanziamento di 2,2 miliardi di euro, ma ulteriori fondi sono messi a disposizione anche da Regioni e fondazioni.

Aspettative per il 2023. Altra misura attesa è la pubblicazione, da parte di Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) e al Gse (Gestore servizi elettrici), della mappa che consentirà di sapere, a partire dal proprio recapito, in quale luogo e con chi potremo realizzare una comunità energetica rinnovabile. Ma anche qui siamo di fronte ad altri ritardi sulla tabella di marcia. L’ultima scadenza sia per la mappa sia per i decreti attuativi è annunciata per la fine dell’anno. Se così accadrà, dal 2023 assisteremo all’avvio di un progetto che, grazie alle tecnologie e alle scelte politiche, innanzitutto europee, ci renderà più consapevoli della necessità di tutelare l’ambiente oltre che l’economia domestica.