Residenze per anziani. Ecco dove il sistema “regge”

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È la seconda regione in Italia per casi da coronavirus subito dopo la Lombardia, ma – e la notizia positiva è questa –il numero dei contagi nelle residenze per anziani in Emilia Romagna continua ad essere piuttosto modesto, soprattutto se confrontato con altre regioni dove le strutture residenziali per la terza età si sono rivelate il vero tallone di Achille del sistema. Luoghi in cui il contagio, quando è arrivato, si è diffuso rapidamente facendo in molti casi strage.

Certo, si registrano casi gravi anche qui: a Sissa Trecasali, ad esempio, i decessi accertati fino a questo momento sono stati 16. A Forlì, presso la casa di riposo Zangheri, i contagiati sono stati 70, pari ad un quinto dei 302 ospiti. Casi di contagi e di decessi si contano in numerose strutture a Modena, ad esempio, a   Villa Margherita con 33 contagi e 7 decessi o al S. Giovanni Bosco dove i contagi al momento sono 4 e 6 i decessi. O in provincia di Bologna, a Budrio e nella CRA di San Domenico (8 contagi 4 decessi) e a Sasso Marconi dove nella CRA Villa Teresa i contagi sono 13 contagi e 6 i decessi. Ma anche a Forlimpopoli, in provincia di Forlì, nella CRA Artusi, con 54 contagi e 7 decessi.

Ma ci sono anche le isole felici, come i comprensori di Imola e Ravenna, dove continuano a non risultare casi.

“Nel complesso – spiega Bruno Pizzica, segretario regionale dello Spi Cgil – il sistema di strutture residenziali per anziani qui in Emilia Romagna sembra reggere. Se si escludono i casi di emergenza, il contagio ha toccato un numero di residenti nelle strutture per il momento contenuto”.

Sulla base di un monitoraggio avviato dallo Spi-Cgil lo scorso 28 marzo, i casi di contagio riguarderebbero appena il 15 per cento delle strutture presenti sul territorio regionale: e cioè 60 sulle circa 400 tra CRA (le cosiddette Case residenza per anziani non autosufficienti), pubbliche e accreditate, Case di riposo autorizzate, Comunità alloggio, presenti in regione.

Se poi si passa al numero dei contagiati, alla mezzanotte di ieri erano in 662 (622 il giorno prima) ad aver contratto il virus, su una platea di 23.632 anziani residenti in queste strutture. Con una percentuale che si attestava al 2,80% (2,63 il giorno prima). I decessi in totale erano stati 170, ma solo in parte riguardavano casi accertati di covid o, nei casi non accertati, persone che presentavano i sintomi della malattia.

“Sommando contagi e decessi – sottolinea Pizzica – si arriva a 832 anziani coinvolti (il giorno prima 784) pari al 3,52% del totale”.

Dati non dissimili da quelli diffusi dal Servizio assistenziale territoriale della Regione Emilia Romagna, che parla di 903 contagi (di cui 669 attivi, più i morti e i guariti) e di 170 decessi – che però sarebbero stati raggiunti già il 5 aprile – su 340 Cra e strutture accreditate. Per i servizi territoriali, in realtà le strutture toccate da almeno un contagio sarebbero 1/3 del totale e la popolazione contagiata pari al 6% dei residenti.

Ma come si spiega questa bassa incidenza di casi, e soprattutto il fatto che il contagio una volta arrivato non investe tutti gli abitanti della struttura come sta accadendo da altre parti? “In tempi non sospetti la Regione Emilia Romagna – ragiona Pizzica -, previo confronto e accordo con i sindacati dei pensionati, ha messo in campo linee guida molto severe per l’accreditamento, sia per quanto riguarda il personale, che deve essere molto qualificato, che per la logistica: le strutture devono garantire standard minimi, come ad esempio il numero di ospiti in stanza, che è fissato in due unità”.

Condizione che, seppur non presente in tutte le strutture, ha garantito che, una volta arrivato il contagio, non si diffondesse in tempi rapidi a tutti i residenti.

Uno dei pochi casi segnalati in tal senso, è quello di Reggiolo, dove su 32 ospiti, gli infettati sono 30.

Insomma si sarebbe giocato molto di anticipo. “La Regione – sottolinea Paolo Barbieri, responsabile dei servizi territoriali assistenziali – ha da tempo sviluppato percorsi mirati alla sorveglianza e al controllo delle infezioni correlate all’assistenza, attività centrali nella gestione del rischio clinico che rientrano tra le priorità regionali. L’importanza del governo del rischio infettivo nelle strutture socio-sanitarie è ribadita anche nei criteri di accreditamento dei servizi socio-sanitari”.  Attenzione che sarebbe rivolta, ad esempio, all’igiene delle mani con gel idroalcolico, nel 2019 in linea con le indicazioni dell’Oms.

Ma quello che sta facendo davvero la differenza è la gestione della crisi. “A prescindere dal regime di convenzione o meno con il Servizio sanitario – continua Barbieri –  la Regione ha fornito, nelle fasi iniziali dell’epidemia, indicazioni operative sia su come prevenire la diffusione delle infezioni da Covid-19 attraverso una corretta gestione dei casi sospetti o accertati sia su come proteggere gli operatori. Quando vi sono casi probabili o confermati di infetti ospitati nella struttura residenziale, è fondamentale il raccordo del medico della struttura con il dipartimento di sanità pubblica di riferimento ed isolare i residenti affetti da Covid-19.  Per poi mettere in atto soluzioni terapeutiche mirate”.

Anche in questo caso la circolare emanata dalla Regione ha visto la partecipazione attiva del sindacato dei pensionati.

Questo raccordo tra i presidi sanitari della struttura e le Asl, che all’occorrenza forniscono equipe di medici e infermieri, ha permesso che i 2/3 dei contagiati potessero essere curati in struttura e di monitorarli costantemente.

Dopo le difficoltà iniziali, da quanto ci dicono dalla Regione ora il personale delle circa 340 Case Residenza per Anziani avrebbe in dotazione, per la stragrande maggioranza, dispositivi di protezione individuale adeguati alla situazione.

Stesso discorso per i tamponi. Mentre al principio della crisi i tamponi non sempre venivano effettuati su tutti i casi sospetti (da questo punto di vista fa fede il report dell’Istituto superiore di sanità), oggi sui casi a rischio sarebbero effettuati con una certa sistematicità.

Tutto bene quindi?  “Si tratta in realtà – precisa Pizzica – di dati parziali, perché non abbiamo informazioni sulle strutture private, e sulle case famiglia, queste ultime quasi 400 sui diversi territori della regione. Al loro interno sono ospitati tra i 2 e i 3.000 anziani delle cui condizioni nulla è dato sapere, se non da notizie di stampa non sempre precise ed attendibili. Altra nota dolente sono le strutture religiose, che troppo spesso sfuggono a ogni tipo di contabilità”.

A tale proposito, Spi Cgil, Fnp Cisl e Uil pensionati in una lettera rivolta all’Associazione dei comuni (Anci) dell’Emilia Romagna, alle direzioni delle Asl e agli assessorati regionali preposti al Welfare e alla Sanità, hanno espresso tutta la loro preoccupazione per queste strutture. “Chiediamo ad Anci e Asl di attivarsi attraverso i Comuni e i distretti socio-sanitari perché effettuino con urgenza e capillarità controlli, sostenendo il monitoraggio della Regione. Fondamentale ora non lasciare zone franche”, sostengono le tre sigle.

Va anche detto che la Regione Emilia Romagna da tempo chiede norme più stringenti contro le aperture “facili” proprio sulle case famiglia, piccole strutture totalmente private che possono ospitare fino a un massimo di 6 persone e che per avviare l’attività sono soggette ad una Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) ai Comuni, così come prevede l’attuale normativa nazionale, senza alcuna autorizzazione preventiva al funzionamento. Una stretta che si era manifestata con controlli più serrati su tutte le strutture pubbliche, convenzionate, e anche private, prima dell’epidemia. Ora potrebbe essere l’occasione per risistemare un settore che si è mostrato l’anello debole dal punto di vista della sanità pubblica.