Rapporto Istat: radiografia dell’Italia disuguale

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L’ultimo rapporto annuale dell’Istituto nazionale di statistica descrive un paese in difficoltà. Salari tra più bassi in Europa, giovani svantaggiati e spesso esclusi dal mercato del lavoro. Le imprese, da parte loro, non investono in innovazione e faticano ad aumentare la produttività.

«Anno dopo anno, il Rapporto Istat accompagna il nostro Paese e ne ritrae, con attenzione, partecipazione e rispetto, i traguardi raggiunti, i nuovi fermenti, i problemi da risolvere, le domande che aspettano risposte». Oggi, venerdì 7 luglio, il presidente dell’Istituto nazionale di statistica, Francesco Maria Chelli, ha presentato il Rapporto annuale 2023. La situazione del paese. «Consegniamo alla politica strumenti fondamentali per ridurre le disuguaglianze di opportunità e competenze, le disuguaglianze di accesso ai servizi, le disuguaglianze di reddito, le disuguaglianze tra territori – scandisce dall’aula di Palazzo Montecitorio il presidente dell’Istat –. E molte di queste disuguaglianze, purtroppo, si sono consolidate e sono cresciute nell’ultimo anno».

Quattro macro-aree

Quest’anno l’Istat focalizza la sua indagine nazionale sulle capacità e le potenzialità di riprogettazione delle infrastrutture e dei servizi pubblici grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’elemento innovativo dell’edizione 2023 sono i quattro approfondimenti su altrettante macro-aree: demografia, lavoro, ambiente e imprese.

Calo demografico

«L’effetto del progressivo invecchiamento della popolazione – si legge nel Rapporto 2023 – si manifesta già ora sul sistema scolastico e sul mercato del lavoro. E nel futuro sarà ancora più diffuso e accentuato. Tra il 2021 e il 2050, si stima una riduzione della popolazione residente di quasi 5 milioni, con un cambiamento sostanziale nella struttura per età. I cittadini fino ai 24 anni si ridurranno di circa 2,5 milioni e quelli tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni. Le previsioni indicano una diversa riduzione tra le città e le aree rurali, tra il nord e il sud del paese. Per esempio, in tutte regioni del Mezzogiorno il calo dei residenti sarà nettamente superiore alla media nazionale».

I giovani

L’invecchiamento del mondo del lavoro è piuttosto evidente. Tra il 2004 e il 2022, dei nuovi 784 mila occupati, ben 349 mila erano ultrasessantacinquenni. La consistenza numerica dei lavoratori “anziani” è raddoppiata anche a causa del ritardo nell’età di pensionamento seguito alla riforma Fornero. Inoltre, sempre tra il 2004 e il 2022, la crescita complessiva dell’occupazione non è avvenuta in modo equilibrato: gli occupati sono aumentati di oltre 1 milione nel centro-nord, mentre hanno subito una diminuzione di quasi 300 mila persone nel mezzogiorno.

Occupazione femminile

Buone notizie arrivano dal fronte della riduzione del divario di genere. Anche se resta comunque notevole, nell’occupazione femminile è decisamente per tutte le età. Più fattori concorrono a spiegare il costante aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e la permanenza anche dopo la maternità: i cambiamenti culturali, l’aumento del livello di istruzione, la terziarizzazione dell’economia e anche l’innalzamento dell’età pensionabile. Nel 2022, rispetto al 2004, il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154 mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 al 42,2 per cento.

Mercato del lavoro

Tra il 2011 e il 2022, l’occupazione qualificata – imprenditori, alta dirigenza, professioni intellettuali e tecniche di elevata specializzazione – è cresciuta, tuttavia molto meno che nelle maggiori economie dell’Unione europea e gli occupati nei settori scientifici e tecnologici sono ancora appena il 37,4.
La quota di giovani tra i 18 e i 24 anni che ha abbandonato precocemente gli studi rimane rilevante (11,5 per cento, nel 2022), ma il distacco dalla media europea si è ridotto notevolmente (da 4,7 punti percentuali a soli 1,9). L’incidenza degli iscritti al primo anno dell’università è cresciuta di 10 punti percentuali, con una quota di donne stabile intorno al 55 per cento. Il tasso di “fuga di cervelli” è del 9,5 per mille tra gli uomini e del 6,7 per mille tra le donne. Tutto ciò preconizza, secondo il Rapporto Istat 2023, una futura scarsa disponibilità di risorse umane giovani e rende ancora più gravi gli attuali problemi di sottoutilizzo dei laureati nelle discipline cosiddette Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Imprese

Il persistere delle crisi sanitarie, economiche, politiche e ambientali ha messo a dura prova il sistema produttivo italiano. Nel confronto con i principali paesi europei, l’Italia si caratterizza per una forte vocazione manifatturiera (oltre un terzo dell’industria e dei servizi sono concentrati in questo settore). «Nell’ultimo decennio, tuttavia – spiega il Rapporto Istat – il sistema produttivo italiano ha mostrato una scarsa dinamicità nella produttività del lavoro e, in generale, una debole propensione all’innovazione». L’emergenza sanitaria, in aggiunta, ha comportato, nel corso del 2020, un’ulteriore tendenza alla scarsa innovazione nei prodotti e nei processi e un calo degli investimenti nelle imprese industriali e dei servizi.

Ambiente

Il futuro degli ecosistemi, avverte il Rapporto Istat 2023, è preoccupante. E tale preoccupazione è alimentata dal verificarsi, con sempre maggiore frequenza e intensità, di eventi meteorologici estremi. Il 2,2 per cento della popolazione vive in aree a rischio di frane e l’11,5 per cento in territori minacciati da alluvioni. La scarsità delle risorse naturali non rinnovabili, tra le quali l’acqua, è una minaccia per la sostenibilità della vita sociale e dei processi produttivi. La riduzione delle precipitazioni, accompagna del 20 per cento. La siccità ha influito pesantemente sull’annata agricola, facendo registrare la riduzione della produzione e dell’occupazione. Per tutte queste ragioni, avverte il presidente dell’Istat Chelli: «Le imprese devono tenere conto anche del depauperamento ambientale che viene generato dalle attività economiche e dobbiamo tutti necessariamente adottare misure di economia circolare, finalizzate alla riduzione dello sfruttamento delle risorse naturali»