Premi Liberetà e Guido Rossa, vincono Acquarone e Lomonaco

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Uno dei momenti clou della Festa nazionale di LiberEtà, in programma dal 13 al 15 settembre a Senigallia, è l’assegnazione dei due premi letterari banditi dalla nostra casa editrice: il Premio Letterario LiberEtà e il Premio Guido Rossa. Ecco un profilo dei due vincitori 

La festa nazionale di LiberEtà si è aperta oggi, a Senigallia, con la venticinquesima edizione del premio letterario LiberEtà e la quarta edizione del premio Guido Rossa, con la proclamazione dei due vincitori dei contest narrativi.

L’evento, al quale erano presenti tutti i finalisti, è stato condotto da Neri Marcorè, attore, conduttore e cantante che oggi giocava in casa, essendo originario proprio delle Marche.

Sul palco, il critico letterario Filippo La Porta ha presentato i manoscritti del Premio LiberEtà, mentre l’autrice televisiva Cristina Norante ha introdotto il libro vincitore del Premio Guido Rossa. A proclamare i vincitori è stato il segretario generale dello Sindacato dei pensionati della Cgil, Ivan Pedretti.

Il Premio letterario è stato assegnato quest’anno a Franca Acquarone con il libro Quello che non sai più dire. Il vincitore del Premio Guido Rossa è invece Peppe Lomonaco con il manoscritto Il nostro giorno

Qui a seguire un breve profilo biografico dei due autori e un abstract delle loro opere.

Franca Acquarone, Quello che non sai più dire

Franca Acquarone nasce a Ormea in provincia di Cuneo, e attualmente vive a Mondovì. Ha sempre, e per scelta, lavorato nel settore pubblico, prima come insegnante poi come psicoterapeuta nella Asl.

Da pensionata fa volontariato occupandosi di amministrazione nella casa di riposo di Ormea, il paese in cui è nata e al quale è molto legata. Ha due figli maschi ed è nonna di due bimbe di otto e sei anni.

“Quello che non sai più dire” è un romanzo autobiografico, scritto dopo la morte della madre malata di Alzheimer e tenuto nel cassetto per qualche anno. Ha voluto scrivere questa storia con l’obiettivo di lasciare memoria della sua famiglia ai suoi figli.

Il libro si articola su due piani narrativi, il passato della famiglia dell’autrice e il presente della malattia della madre, che si alternano sapientemente nel corso del racconto.

Nel mare profondo delle demenze, come si argina la tempesta che scuote il nostro senso del tempo, la memoria della nostra storia, le parole per raccontarla, il senso dei nostri gesti? “Talora racconto episodi che mi sembra di aver sentito narrare in tempi ormai lontani. Racconto e non so se per lei o piuttosto per me”, confessa una figlia che decide di rievocare alla madre quel che lei non può più ricordare. Il suo passato, appunto.

Gli altri due finalisti del Premio LiberEtà, Vincenzo Dimilta con “In una vita” e Sergio Verdecchia con “Alce Rossa” si sono piazzati entrambi secondi a pari merito.

Peppe Lomonaco, Il nostro Giorno

Peppe Lomonaco nato a Montescaglioso (Matera) nel 1951 in una famiglia di braccianti. va via da casa a diciassette anni. Era il 1968. Approda a Milano, dove diventa operaio qualificato. Impegnato da sempre nel sindacato, dopo la passione per la lettura nasce quello per la scrittura.

“È stato attraverso la lettura che mi sono imbattuto nel libro di Nuto Revelli Il mondo dei vinti, poi nelle storie raccolte da Franco Alasia in Milano, Corea insieme al saggio di Danilo Montaldi. Poi sono venuti molti altri titoli: Contadini del Sud di Rocco Scotellaro, poi Banditi a Partinico e Racconti siciliani di Danilo Dolci etc.”, spiega Lo Monaco.

“Il nostro giorno” è un vivo e riuscitissimo spaccato di una società italiana in radicale trasformazione, quella delle massicce migrazioni dal Meridione contadino nel Nord industriale negli anni Sessanta del Novecento, grazie all’originalità di un amalgama che integra i dati e i fatti della Storia nella narrazione, valorizzandone al massimo una forte personalità di stile.

“Non so quando mi venne l’idea di partire”, ricorda Angelo rievocando la decisione di andare via dalla Puglia per tentare la strada della fabbrica a Milano: “Sono un operaio industriale, operaio di fabbrica”. Un operaio che conserva dentro al cassetto i pensieri scritti durante il tempo libero.

La fabbrica vuol dire sveglia alle cinque, coabitazione ma anche solidarietà coi compagni di squadra: La fabbrica significa imparare a scioperare per il contratto, contro gli incidenti sul lavoro, per la riduzione dell’orario, ma anche per la strage di Piazza Fontana.

Manca l’amore che non tarda ad arrivare con Annina dal bel sorriso e dai baci che sanno di mirto e cannella, “quando sono con Annina mi sento meglio, il mondo gira diversamente”.

In due è più facile affrontare tutto, anche l’epilessia quella strana malattia che Annina aveva combattuto, per volere della famiglia, soltanto con fichi, carrube e preghiere a San Donato, protettore degli epilettici. Succede che però le cose cambino per un errore, una disattenzione, forse per caso e lei non sia più al tuo fianco.

La locandina dell’evento che si è tenuto il pomeriggio del 13 settembre