Migranti. «Ok regolarizzazione ma serve risposta strutturale»

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Dal 1° giugno e fino al 15 luglio sarà possibile per i datori di lavoro e per i migranti che lavorano nell’agricoltura, nella cura della persona e in casa, chiedere la regolarizzazione della propria posizione lavorativa e di soggiorno, se non comunitari.

Il provvedimento riguarderà – secondo le stime diffuse dal governo nella relazione tecnica che ha accompagnato il decreto Rilancio – 210mila persone che vivono e lavorano nel nostro Paese. Rimangono escluse dalla sanatoria, i lavoratori di altri settori, come l’edilizia e il commercio.

Sulla misura come è noto, ci sono state posizioni diverse all’interno della maggioranza, e gran parte delle organizzazioni che lavorano con i migranti si sono espresse a favore della regolarizzazione, ma hanno anche sottolineato i limiti sostanziali del provvedimento governativo, formalizzata nel decreto Rilancio del 19 maggio.

Il giudizio che arriva dallo Spi Cgil è articolato. Secondo la segretaria nazionale dello Spi Cgil, Mina Cilloni «la legge è un tampone per i bisogni produttivi e di cura del Paese, ma non realizza quei principi di civiltà cui dice di ispirarsi, perché non risponde ai bisogni delle persone che vivono la condizione di immigrati».

Per Leopoldo Tartaglia del Dipartimento Benessere e Diritti «il provvedimento è un passo avanti per un certo numero di lavoratori, ma è anche un’occasione mancata per risolvere in modo definitivo il tema della regolarizzazione e dei diritti dei lavoratori migranti, che – sottolinea – sono una risorsa non un problema per il Paese”.

“Oggi come ieri – continua Tartaglia – manca una seria politica migratoria, e di questo hanno responsabilità le politiche xenofobe affermate in questi anni dai governi di centrodestra, ma anche le omissioni e le responsabilità degli esecutivi di centrosinistra su flussi d’ingresso e per una legge sulla cittadinanza».

Le questioni irrisolte

Innanzitutto la platea dei effettivi beneficiari: appena un terzo delle 600mila persone che vivono nel paese senza un regolare permesso di soggiorno. L’esito è il frutto di un compromesso che ha visto contrapposte le varie anime della maggioranza, con la sinistra propensa ad aprire il più possibile il numero di persone interessate, e i Cinque Stelle decisamente ostili all’allargamento, affermando che avrebbe rappresentato una sorta di condono per chi ha sfruttato la manodopera in maniera irregolare.

In realtà chi è stato già condannato per i reati legati al caporalato e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non potrà accedere alla procedura.

Come ricordato all’inizio, la regolarizzazione riguarderà solo agricoltura, il settore della cura alla persona e e l’assistenza domestica. Braccianti, colf e badanti per semplificare.

 

Rimangono fuori decine di migliaia di lavoratori di altri settori, come l’edilizia, il commercio e i servizi.

L’altra riguarda le procedure e i requisiti per presentare la domanda. I datori di lavoro possono chiedere di regolarizzare un immigrato che vogliono assumere, oppure i migranti possono chiedere un permesso temporaneo di sei mesi per cercare lavoro. Questo secondo canale può essere usato solo da quelli che potranno dimostrare di aver già lavorato nei settori lavorativi previsti dalla riforma.

Potranno accedere alla misura tutti quelli che sono stati identificati con la foto-segnalazione prima dell’8 marzo 2020 o che possono provare di aver risieduto in Italia continuativamente prima di quella data. Gli stranieri che hanno un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, che non hanno lasciato il paese prima dell’8 marzo 2020, potranno chiedere un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi per cercare un lavoro, purché dimostrino di aver lavorato nei settori indicati.

Le critiche
Le critiche delle organizzazioni che lavorano con i migranti si soffermano proprio su questi due punti: troppo pochi gli ammessi ai benefici, troppo restrittive le regole per accedervi.

Per Tartaglia, «i tempi previsti nella proposta governativa, che speriamo possa essere migliorata in parlamento, sono troppo stretti. Andrebbero almeno allungati fino alla fine dell’estate, permettendo a migliaia di lavoratori di trovare un lavoro o avere più tempo per mettersi in regola».

«Più in generale – commenta Cilloni – c’è amarezza, perché da questa occasione poteva venir fuori una legge di civiltà, per rompere con un passato che ha visto nei migranti solo un problema legato alla sicurezza. Ma come ha dimostrato l’epidemia da Covid, oggi sicurezza significa permettere a migliaia di persone di poter accedere alle cure mediche, a una vita dignitosa, cose entrambe negate oggi. A mio avviso ha finito per prevalere un principio meramente utilitarstico».

Per Tartaglia, «il vero passo in avanti sarebbe rendere strutturale un percorso di regolarizzazione, che è del tutto mancato in epoca recente. Se guardiamo alle quote di ingresso concesse in questi anni, ci rendiamo conto che l’Italia ha assicurato permessi di lavoro in quantità irrisoria, rispetto ad esempio alla Polonia, uno dei vituperati Paesi di Visegrad: nel 2018, 14mila contro i 683mila della Polonia. Ma come dicevo, i migranti oggi hanno un ruolo determinante in molti settori vitali della nostra società che va compreso. Ma a prescindere da questo va riconosciuta la dignità delle persone, senza se e senza ma».