Stereotipi di genere. La strada è ancora lunga

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Oggi in un articolo del Corriere della sera, Beppe Severgnini, difende la memoria di Indro Montanelli dall’accusa di pedofilia. L’occasione è la notizia che alcune esponenti del movimento “Non Una Di Meno” hanno cosparso di vernice lavabile la statua del noto giornalista per ricordare quando, durante l’invasione italiana dell’Etiopia, comprò una ragazzina eritrea di dodici anni.

La storia venne alla luce nel 1986 in una video intervista condotta da Enzo Biagi, nella quale Montanelli raccontò di avere regolarmente sposato una bambina durante la guerra in Etiopia. «L’ho regolarmente sposata, in quanto l’ho regolarmente comprata dal padre, – ammise Montanelli – aveva 12 anni, ma a 12 anni quelle lì sono già donne. Avevo bisogno di una donna a quell’età. Me la comprò il mio sottufficiale insieme a un cavallo e un fucile, in tutto 500 lire. Lei era un animalino docile; ogni 15 giorni mi raggiungeva ovunque fossi insieme alle mogli degli altri».

Dalle colonne del Corriere della Sera, Severgnini a sostegno del buon nome di Montanelli, scrive che «l’accusa risale al 1935. Per valutarla, occorre conoscere il contesto. Indro Montanelli — giovane fascista disincantato, speranzoso reporter — parte per il fronte africano. Ha appena compiuto ventisei anni».

Bene, ricordiamo al noto editorialista che la pedofilia è un reato anche se si è giovani uomini con tante speranze nella testa e lo era anche durante il Fascismo.

L’articolo del Corriere conferma come in Italia gli stereotipi di genere siano duri a morire. Basta pensare che il 30 per cento dei giovani tra i 18 e i 29 anni pensa che sia accettabile che un uomo controlli il cellulare e l’attività sui social network della propria partner o moglie (Istat 2019) o che il 51 per cento ritiene che il principale ruolo della donna sia quello di accudire la famiglia (Eurobarometro 2017).

Parliamo di modelli culturali che affondano le radici nell’organizzazione sociale e del lavoro e che sono alimentati da una parte dei media e da alcuni prodotti cinematografici e televisivi nei quali si divulga una figura femminile dedicata e subalterna a quella maschile e alla famiglia.

Con la partecipazione di undici nuove scienziate, docenti e intellettuali sia alla task force diretta da Vittorio Colao sia al Comitato tecnico scientifico del Governo, forse finalmente stiamo assistendo a una leggera inversione di rotta. Il Piano per gli investimenti e il rilancio economico e ambientale del nostro paese nella Fase tre contiene un capitolo, il XXIII, interamente dedicato alla promozione della parità di genere: si varano strumenti (e stanziano risorse) finalizzate a programmi culturali contro gli stereotipi di genere, sostegno all’occupazione femminile, valutazione dell’impatto di genere, conciliazione dei tempi di lavoro e genitorialità, interventi per vittime della violenza.

Adesso sarebbe importante che alle parole seguano i fatti. Una cosa è certa, il nostro paese ha ancora bisogno di un rinnovamento culturale profondo sui temi di genere in tutti i settori, non escluso quello culturale e dell’informazione.