Lombardia, diario da un ospedale #4. La vita

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In questi giorni difficili nelle nostre case entrano immagini e parole che narrano di ospedali in affanno, di uomini e donne che lavorano senza sosta per salvare quante più persone possibile, di reparti di rianimazione stremati. LiberEtà vuole raccontare da dentro il lavoro di chi ogni giorno, con dedizione e generosità, regala un pezzo della propria vita alla collettività. Lo facciamo pubblicando le pagine del diario di una ricercatrice che lavora in un ospedale lombardo. Resta anonima, certo per pudore ma soprattutto per tutelare la fatica dei tanti medici, ricercatori e infermieri che stanno vivendo un passaggio della loro vita davvero complicato. Un diario che raccoglie e rappresenta la voce di tutti e i sentimenti, le preoccupazioni, le stanchezze, le esperienze e le sensazioni di chi lotta contro il coronavirus.

Lombardia, 23 marzo 2020.

Sono ore buie. Non vediamo segnali positivi. Non dai numeri, che ogni giorno alle 18.00 vengono snocciolati come un osceno rosario degli impotenti, non dalle sensazioni e dalle vibrazioni che percorrono il sistema nervoso che fa muovere l’Ospedale.

Il buio è negli occhi impauriti appena sopra le mascherine e nei gesti della quotidianità lavorativa che qualcuno prova a mantenere, per esorcizzare il mostro. Un caffè alla macchinetta, due chiacchiere in corridoio, che finiscono per essere considerati più un segno di incoscienza che di coraggio. Perché è la nostra inerzia che uccide, non il virus. La nostra incapacità di adeguarci in fretta a nuovi comportamenti necessari. Eppure… i segni della vita di prima, della vita che tornerà, sono intorno a noi e sono forti e chiari. Serve sintonizzarsi sulla giusta frequenza per sentire Radio Londra, ma è lì a trasmettere i suoi messaggi ininterrottamente.

Li ho sentiti in due fatti distinti e dal significato opposto.

Ho subito un tentativo di frode sul mio conto di risparmio online. Una frode via telefono, con l’obiettivo di ottenere tutti i codici necessari per accedere e fare movimenti bancari. Ci hanno provato e ci sono andati vicinissimi. Poi un dubbio e il cambio immediato delle password hanno scongiurato il peggio.

Ho ricevuto un altro messaggio dall’amico medico-cardiologo prestato al pronto soccorso dove arrivano ormai solo pazienti covid-19 con difficoltà respiratorie. Dice che è durissima, che dentro quelle tute manca il respiro e si vivono momenti drammatici. Dice anche che la soddisfazione di quando si salva una vita è unica, impagabile.

Messi vicini sembrano i segnali di soccorso trasmessi dalla vita, come a dire “ci sono ancora, io sono qui”. I segnali sono nelle persone che non smettono di salvarti la vita e in quelle che non smettono di provare a truffarti. Sono i semi della normalità che ci aspetta paziente in fondo alla strada buia che stiamo percorrendo, con quel bene e quel male che oggi tanto ci mancano. Piangeremo i morti e torneranno i prati, con le loro meraviglie e con i loro pericoli. Questo ci dice Radio Londra nelle ore più buie.

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