Il libro dei sogni

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2030

Gli almanacchi, la cui pubblicazione risale al Settecento, conquistano subito un proprio pubblico. Il partito socialista ne farà uno strumento d’informazione per i propri militanti.

A ogni inizio d’anno si rinnova, come fosse un abbonamento in scadenza, la speranza in un domani migliore. È lo stato d’animo espresso mirabilmente nel Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere da Giacomo Leopardi per il quale gli uomini, malgrado le amare esperienze del passato, trovano la forza per andare avanti coltivando «l’illusione della speranza». Rifiuta invece di «sognare a occhi aperti e fantasticare» Antonio Gramsci, che in un articolo del 1° gennaio 1916 – giusto cent’anni fa – sull’Avanti! manifesta la propria insofferenza verso certi riti: «Odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi». Chiamandosi fuori dal «tripudio a rime obbligate collettive», Gramsci si discosta dalla tradizione socialista, che ha sempre guardato con attesa e speranza all’anno nuovo, raffigurato nei panni di una tenera creatura che s’affaccia alla vita. Lo stesso spirito benaugurante caratterizza la consuetudine dell’Almanacco socialista, la strenna destinata ai militanti, che s’innesta in un collaudato filone di letteratura popolare. Quando nel 1832 Leopardi scrive il suo dialogo, gli almanacchi sono già il genere di pubblicazione più diffuso e per vaste masse costituiscono l’unico rapporto con la carta stampata. I primi esemplari, editi annualmente su carta scadente e venduti nelle fiere e nei mercati, risalgono al Settecento (il famoso Barbanera) e s’impongono subito grazie al basso costo e al linguaggio semplice. Oltre al calendario con l’indicazione delle festività religiose, le lunazioni, le tavole del levar del Sole, gli almanacchi propongono aneddoti, strofette, consigli su come gestire la casa e l’orto, indovinelli, racconti, poesie, considerazioni sull’anno trascorso e previsioni per quello a venire.

Il primo almanacco socialista appare nel 1871 come Almanacco repubblicano del periodico La plebe di Enrico Bignami con l’intestazione “repubblica, razionalismo, socialismo”. La denominazione Almanacco socialista viene assunta dall’esemplare dato alle stampe l’anno successivo a Bologna dall’internazionalista Tito Zanardelli. Nel 1882 Andrea Costa dedica il suo Almanacco popolare «al popolo che lavora, che soffre, che vuole e saprà emanciparsi dalla miseria, dall’oppressione politica, dall’ignoranza». Nel 1895 esce a Milano il primo di una nuova serie di almanacchi a cura del settimanale Lotta di classe. Vi collaborano Filippo Turati, che ne è il principale ispiratore, i maggiori esponenti del partito socialista e gli scrittori Edmondo De Amicis e Paolo Valera. Dopo che il primo almanacco è stato sequestrato e i compilatori processati per eccitamento all’odio tra le classi sociali, l’almanacco del 1896 si presenta così: «Ecco il vostro calendario, o compagni lavoratori. Trecentosessantacinque giorni aridi e spinosi e un giorno solo in cui fiorisce la speranza: il Primo maggio!».

Agli inizi del Novecento la continuità degli almanacchi, che devono fronteggiare la “concorrenza interna” di sempre più numerosi periodici e opuscoli socialisti, s’interrompe. Un ambizioso progetto lanciato nel 1902 da Turati e Pietro Nurra per trasformare l’almanacco in una sorta di enciclopedia pratica, di prontuario con notizie, dati e documenti utili soprattutto ai socialisti impegnati nelle amministrazioni locali, nelle leghe e nelle cooperative, non si realizza. La ripresa e il rilancio dell’Almanacco socialista avvengono nel 1917, in piena guerra mondiale: «Intendiamo inaugurare – si legge nella presentazione – una pubblicazione periodica annuale. Sarà almanacco e nello stesso tempo annuario, libro di lettura e di consultazione». Diffuso in migliaia di copie viene ora distribuito in omaggio agli abbonati dell’Avanti!, di Critica sociale e di altri periodici.

Con il fascismo al potere diventa dura. L’almanacco del 1923 è pronto per andare in stampa quando la tipografia viene devastata dalle camicie nere. Molti cliché e testi vanno perduti, ma redattori e tipografi non si arrendono, riuscendo a rimettere insieme i cocci e a non mancare l’appuntamento con i lettori: «L’almanacco è qua. Con qualche lacuna, è vero. Ma in ciò forse codesto almanacco, uscito dalle nere spaventose rovine alla luce del sole, è un po’ il simbolo del momento storico che sta attraversando l’Italia. Fieramente colpito, ma non ucciso, mutilato ma non domo. Perché, o fratelli, possono uccidere il corpo, ma non lo spirito: possono distruggere le case dove ci raduniamo, ma non la fede che ci riscalda i cuori».