Quella dei medici di base è una prima linea fuori corsia, ma non per questo meno importante e determinante in questa lunga emergenza Covid. Per molti anziani i medici di famiglia sono l’unico punto di riferimento. E lo sono anche per chi dal medico prima non ci andava mai, se non per qualche sporadica necessità. Ora sono tanti quelli che chiamano a tutte le ore del giorno, e spesso della notte, in cerca di risposte rassicuranti su sintomi, tamponi, quarantene. Paure, incertezze. I medici di famiglia stanno offrendo un sostegno fondamentale al sistema sanitario. LiberEtà ha raccolto le loro testimonianze, da nord a sud, per cercare di capire le criticità di oggi e le necessità future. Perché appare certo che bisogna ripensare una medicina territoriale più vicina alle persone e lontana dagli ospedali. Una medicina che, anche senza pandemia, consenta di curare gli anziani, ma non soltanto loro, a casa propria e limitare il più possibile l’ingresso in ospedale.
In questa prima puntata siamo andati nel Lazio. La prima tappa è Roma, quartiere di Piazza Bologna, ad alta densità di popolazione anziana, dove incontriamo Alberto Calvieri. Ha sessantasette anni, lavora dal 1979 come medico di medicina generale. Ha 1300 assistititi. Il cinquanta per cento ha più di sessantacinque anni. “Noi siamo e restiamo un punto di riferimento fondamentale per i nostri pazienti, soprattutto per quelli anziani”, dice. “Quando si ha un problema di salute, le persone vengono da noi. Non sempre sanno cosa fare e dove andare”.
L’emergenza sanitaria sta dimostrando la debolezza del sistema sanitario incentrato sulle strutture ospedaliere. “In un sistema sanitario maturo, la medicina territoriale andrebbe rafforzata”, sostiene il dottor Calvieri. “Non possiamo pensare che la sanità possa continuare a reggersi soltanto sugli ospedali. Dobbiamo spostare le cure sul territorio. Non dimentichiamo che un letto costa 1500 euro al giorno. Ma se sul territorio si avessero a disposizione 1500 euro a paziente potremmo curare benissimo le persone a casa”.
Il telefono del dottore non smette di squillare. “Oggi ho tre pazienti Covid in terapia intensiva. E stanno aumentano pericolosamente i bambini positivi al virus”. E poi c’è la partita dei vaccini antinfluenzali: “Com’è possibile che soltanto ora ci si accorga che servivano i vaccini? Eppure lo sapevamo. Come abbiamo fatto ad arrivare impreparati?”.
Tra stupore e rabbia per uno stato delle cose che sembra remare contro tutto e tutti, quel che è certo è che tra i pazienti c’è molta paura e tanta voglia di capire. A spiegarlo chiaramente è un altro medico di famiglia, Mario Volpe, che lavora a Ciampino, a pochi chilometri dalla capitale. “Noi facciamo quotidianamente un grande sforzo per spiegare tutto. Soprattutto a chi è risultato positivo al Covid e a chi è ricoverato in ospedale. Guidiamo passo passo i pazienti al telefono. L’obiettivo è tenerli lontani dall’ospedale per non sovraccaricare i pronto soccorso”. Ma l’assistenza prosegue anche quando purtroppo dentro l’ospedale ci si finisce. “Ho un paziente che ha seguito una dieta iperproteica per tanto tempo. Ho cercato di dissuaderlo, ho fatto tutto ciò che potevo ma non sono riuscito a convincerlo del fatto che stesse correndo seri pericoli. Ora è in dialisi, in lista per un trapianto. Ma è positivo al Covid e ha una polmonite interstiziale. È ricoverato. Ci sentiamo più volte al giorno al telefono”, dice Volpe amareggiato e preoccupato.
Ci sono anche le storie a lieto fine: “Poche settimane fa si è ammalata una famiglia intera, la figlia ha quindici anni ed è diabetica. La mamma era molto preoccupata. È l’unica a non aver avuto il Covid e con la sua forza ha tenuto tutti uniti e ora ne sono usciti fuori.”, dice Volpe quasi commosso.
Il dottor Mario Volpe ha una lunga esperienza, prima come infermiere e poi come medico ed è andato più volte in missione con Medici senza Frontiere. Sa cos’è la sofferenza e non ha paura di lavorare tante ore al giorno, né di affrontare le difficoltà. “Sono medico di famiglia a Ciampino dal 2014, ho sessant’anni. Mi piace moltissimo quello che faccio. Lavoro molte più ore del consueto ma non è un problema, lo faccio volentieri. Anche perché non c’è solo il Covid. C’è anche tutto il resto: il diabete, l’ipertensione, la Sla, le malattie croniche gravi. Non bisogna dimenticarsene”. I casi di Covid stanno aumentando vertiginosamente. “Due giorni fa ho redatto sedici certificati Covid, ieri quattordici, oggi sei, ma perché siamo ancora alle prime ore del mattino”.
L’assenza di linee guide sulle cure da prescrivere accentua le difficoltà. “Purtroppo riceviamo indicazioni confuse sui farmaci da somministrare. E alla fine dobbiamo fare rete e consultarci tra noi e trovare il bandolo della matassa”, dice Volpe. “Manca la medicina domiciliare e questo è un grande problema. Ho un approccio pratico. Se mi chiedono di andare a fare i tamponi in sicurezza, sono pronto. Anzi ho voglia di rimboccarmi le maniche e i pazienti sarebbero felicissimi di potersi far fare il tampone dal proprio medico ma non possiamo farli nei nostri studi. Sarebbe una follia”, conclude.
Dello stesso avviso è Maria Luisa Paoletti, dottoressa di medicina generale dal 1977. Oggi ha sessantotto anni e sta per andare in pensione. Ha più di 1500 pazienti e gli anziani sono 500. Siamo di nuovo a Roma, a San Lorenzo, quartiere storico della capitale. “Come faccio a fare i tamponi in un appartamento di condominio? Se ci danno le strutture vado subito. Ci sono tante Asl vuote, ci sono dipendenti in smart working, potremmo usare quegli spazi”.
Anche lei cerca di indirizzare i pazienti come meglio può e anche lei fa rete con altri colleghi: “Ci assumiamo la responsabilità delle terapie che prescriviamo, ci orientiamo come meglio possiamo e cerchiamo di sostenere i pazienti in qualunque ora del giorno. Ma spesso, nonostante il nostro aiuto, i pazienti si sentono abbandonati. Penso a una mamma e a un figlio per i quali ho richiesto un tampone a domicilio. La risposta dalla Asl è arrivata dopo sette giorni. E solo allora hanno potuto fare il tampone. E sono risultati entrambi positivi”. Cronache di ordinaria emergenza. “La paura è tanta e le persone sono disperate. Bisogna stare dietro anche a questi stati d’animo. Gli anziani sono i più spaventati. Ma sono anche i più prudenti”.
Anche Angelo Mastracco, medico della provincia di Frosinone, è dello stesso avviso: “Gli anziani ci ascoltano di più e se diciamo loro di stare a casa, ci restano. Ma sarebbe impensabile chiuderli in casa. Certo, sono i soggetti più a rischio, ma per loro è vitale fare una passeggiata, avere un contatto umano anche se a distanza e con la mascherina. Isolarli vuol dire mandarli in depressione. Piuttosto dobbiamo stare attenti ai contatti tra gli anziani e i figli e i nipoti”.
E a proposito della fase emergenziale, il dottor Mastracco sottolinea tutte le difficoltà del momento: “Per noi richiedere un tampone è diventato praticamente impossibile. Quando ne facciamo richiesta, il Sisp (Servizio igiene e sanità pubblica delle Asl) non ci risponde più. Il sistema è saltato. La situazione è nel caos. Per non parlare dei vaccini antinfluenzali”.
E poi si torna al punto di partenza, alla medicina territoriale: “Non possiamo continuare così, occorrono interventi strutturali. Noi medici di famiglia ci siamo e rispondiamo a tutte le richieste e cerchiamo di far fronte a tutta la burocrazia, tra una visita e l’altra. Ma per il Covid avremmo potuto creare centri appositi con gruppi di medici assunti per le visite a domicilio e per monitorare la situazione”, spiega Mastracco. “Servono risorse e servono sul territorio. E così per i tamponi: ci sono tanti padiglioni di ospedali vuoti, dismessi, perché non adibirli a centri appositi?”.