Nel mezzo dell’emergenza Covid-19, il portale dell’Inps è andato in tilt. Era il giorno – il primo aprile – del debutto del bonus di 600 euro per lavoratori autonomi, partite Iva e professionisti varato con il decreto “Cura Italia”; il sistema informativo dell’Istituto di previdenza non ha retto la mole di richieste ed è scoppiato il caos: utenti reindirizzati su altre pagine, dati identificativi non riconosciuti, migliaia di segnalazioni di disservizio e, anche, presunti attacchi hacker.
Da allora, tra bordate mediatico-politiche, le discussioni sull’inefficienza dell’Inps si sono riaccese e, ancora, non sono concluse. «In quelle condizioni, qualunque istituto, avrebbe pagato un prezzo alto» spiega Raffaele Atti, segretario nazionale Spi Cgil. «La verità è che sicuramente ci sono stati degli errori, ma poco alla volta il flusso delle prestazioni si sta normalizzando».
Il punto vero, prosegue Atti, è la mancanza di un carattere di equità nei provvedimenti emanati, in più fasi, dal Governo e gestiti, da un lato, attraverso l’obsoleto sistema informatico dall’Inps, e, dall’altro, dalle Regioni. Nella distribuzione dei bonus, ad esempio, non c’è stata la verifica, indispensabile, che i richiedenti avessero davvero subito dei danni economici.
È noto infatti che non tutte le attività commerciali e professionali si sono fermate a causa della pandemia. Alcune sono state obbligate a chiudere per decreto; altre hanno lavorato più di prima. Per alcuni, i 600 euro hanno significato poca cosa; per altri, sono stati soldi buttati. Pensiamo alle tante libere professioni o agli alimentari di «prossimità».
Secondo il vicepresidente dell’Inps, Luisa Gnecchi, i dati prodotti dall’Istituto previdenziale sulle chiusure delle aziende sono emblematici della disuguaglianza nella crisi economica: i part-time e a tempi indeterminati sono stati più colpiti rispetto ai tempi pieni; gli operai più degli impiegati; le piccole e le piccolissime imprese più delle grandi; le donne rispetto agli uomini; i giovani più degli anziani; i salari bassi più dei salari alti.
«Alcuni provvedimenti del Governo sono pieni di contraddizioni ma, forse, erano inevitabili nella fase di emergenza» ammette Gnecchi «ora è auspicabile che, in fretta, siano valutate l’efficacia e l’equità delle misure di sostegno. Soprattutto dovendo intrecciare la crisi con il rilancio e quando siamo chiamati a disegnare l’orizzonte verso cui dovrebbe tendere la ricostruzione, per la quale sono a disposizione una quantità di risorse ingenti, anche se dai tempi incerti».
A ben guardare i dati, prosegue la vicepresidente dell’Inps, «nell’avventura della cassa integrazione, abbiamo sofferto delle lentezze e del tempo per rodare le procedure. Nella sostanza, comunque, gli aventi diritto hanno preso subito l’integrazione salariale; un’altra parte l’ha presa a rate, ma l’ha ricevuta. In totale, 4 milioni e 242 mila persone hanno avuto la cassa integrazione anticipata dalle aziende; 3 milioni 935 mila in pagamento diretto dall’Inps. I problemi sono sorti con la cassa integrazione in deroga, tanto che nel “Decreto Rilancio” non è previsto il passaggio attraverso le Regioni, e l’Inps addirittura liquiderà il 40 per cento di anticipo sulle casse integrazioni in deroga».
Stando così le cose sembra difficile assecondare un giudizio drastico sulla incapacità dell’Inps di erogare le prestazioni. Eppure il disagio di molti cittadini, per motivi interni ed esterni all’Istituto, continua a esser strumentalmente cavalcato oltre i dati oggettivi, rischiando di danneggiare l’immagine di un Istituto che svolge un ruolo nevralgico nel nostro paese.
«Stiamo affrontando uno scontro frontale su come spendere le risorse europee: Mes, Recovery Fund e quant’altro» ribadisce Raffaele Atti, «uno scontro tra coloro, Confindustria in testa, che le vorrebbero assegnate prevalentemente alle imprese (delegando a loro la scelta di come utilizzarle); e tra quanti chiedono allo Stato di esercitare un ruolo di indirizzo delle risorse al fine di innovare il paese: se si riuscisse a impegnarle in modo socialmente equo forse una parte di quel legittimo disagio si placherebbe».