Il governo risparmia tagliando le pensioni

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Tre miliardi e seicento milioni è la somma che nel 2023 il governo risparmierà tagliando la perequazione e penalizzando i pensionati

Cassa continua. Il governo Meloni fa cassa sui pensionati e taglia la rivalutazione delle pensioni superiori a quattro volte il minimo per un importo di circa tre miliardi e seicento milioni di euro. Non è la prima volta che con le motivazioni più diverse si mette mano al reddito dei pensionati per creare una liquidità da spendere per altri fini.

Nel 2011, con la riforma Monti- Fornero, si doveva mettere in sicurezza il paese fatto precipitare in una gravissima crisi economica e di fiducia. Negli anni successivi l’obiettivo era il contenimento della spesa pensionistica. Oggi siamo, invece, in presenza di un’assoluta novità: si tagliano le pensioni per finanziare, tra l’altro, la riduzione delle tasse ai lavoratori autonomi e nello stesso tempo si lanciano messaggi tranquillizzanti agli evasori.

In un paese dove la parola “patrimoniale” non può essere pronunciata, è considerato lecito, se non addirittura opportuno, “amputare” le pensioni e non adeguarle all’inflazione salvaguardando soltanto le pensioni più basse. E il verbo amputare non deve sembrare eccessivo, perché rende l’idea che il taglio praticato con la Finanziaria è per sempre: un danno protratto nel tempo.

Il concetto di “basso” ha subìto negli anni un’evoluzione anche per effetto dell’azione sindacale tesa a salvaguardare pensioni di importo via via più elevato, tenendo conto della crescita del paese. Nel 1975 erano le pensioni integrate al minimo ad avere un’indicizzazione più favorevole; poi nel 1984 si passò a due volte il minimo, nel 2000 a tre volte, per arrivare nel 2020 a quattro volte il trattamento minimo. Le pensioni che negli anni hanno superato quei limiti sono state invece penalizzate in vario modo.

Facciamo un passo indietro. A dicembre 2011 si decise di bloccare la rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo, cioè 1.405 euro, blocco poi leggermente attenuato a seguito di una sentenza della Corte costituzionale. Alla luce di quelle norme, due pensioni, vigenti nel 2011, la prima di 1.400 euro, di poco inferiore a tre volte il trattamento minimo, la seconda di 1.450 euro hanno avuto diversi destini.

La pensione di 1.400 euro non ha subìto alcuna perdita, aumentando del 12,1 per cento, valore pari all’inflazione rilevata nei dieci anni. La pensione di 1.405 euro, invece, essendo incappata nel blocco del 2012 e 2013, è stata rivalutata dell’8,7 per cento, con una perdita del 3,4 per cento pari, in valore assoluto, a 6.905 euro complessivi, e quindi si è impoverita.

Il taglio al valore delle pensioni prodotto dalle norme del 2011 e da quelle degli anni successivi, cumulato fino al 2022, ha raggiunto la cifra di circa cento miliardi di euro, di cui dieci miliardi imputabili al 2022.

Nel 2021 è scaduta l’ultima proroga delle norme che in questi anni sono intervenute sul sistema di protezione dell’inflazione per ridurne la copertura e quindi la spesa. Dal 2022 si è tornati al sistema articolato su tre fasce: copertura piena alle pensioni di importo fino a quattro volte il trattamento minimo; copertura ridotta del 10 per cento alla quota di pensione compresa tra quattro e cinque volte il minimo; copertura ridotta del 25 per cento alla quota di pensione superiore a cinque volte il minimo. Un meccanismo a scalare che penalizza le pensioni superiori a quattro volte il minimo ma assicura comunque la piena copertura di una fascia di reddito comune a tutti.

Così è stato nel 2022 con un tasso di perequazione dell’1,9 per cento. Sempre nel 2022 l’ inflazione è aumentata a livelli mai visti in questi ultimi anni: l’Istat ha certificato che il valore raggiunto è il 7,3 per cento misurato rispetto al 2021.

Per restituire alle pensioni una parte del valore perduto nel 2022 occorrevano circa ventidue miliardi di euro, una cifra certamente alta perché alta è stata la perdita di potere d’acquisto delle pensioni nel corso del 2022. Così il governo, una volta salvaguardate le pensioni fino a quattro volte il minimo ha deciso che sulle altre si poteva intervenire perché di importo sufficientemente alto per poter sopportare un nuovo taglio.

Le pensioni minime. Infine un accenno alle pensioni minime che nel 2023 e 2024 beneficeranno di una perequazione “rafforzata”. La parte maggiore dell’aumento è dovuta alla perequazione, mentre l’ ulteriore incremento per fronteggiare il “caro bollette” è di 8,91 euro, per una spesa totale annua di circa duecento milioni. Si potrebbe dire meglio di niente, tuttavia considerato che il taglio annunciato alle pensioni sopra quattro volte il minimo è di 3,6 miliardi, sembra più una beffa che una cosa seria. Lo Spi Cgil punta a rivalutare la quattordicesima, estendere la platea dei beneficiari fino a tre volte il trattamento minimo e indicizzare l’importo. Aumenta la spesa, ma si può fare.