L’autonomia voluta dalla Lega? Una riforma infelice

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Ieri Salvini è tornato a parlare di autonomia differenziata. Il disegno di legge del ministro leghista Calderoli è figlio della revisione del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001. Una scelta sbagliata. Il rischio è che si allarghi ancora di più il divario tra Nord e Sud e che ai cittadini non sia più garantito uguale accesso ai servizi

di Cesare Salvi

È diffuso il convincimento che la riforma del Titolo V della Costituzione (che si occupa di Regioni, Province e Comuni) approvata nel 2001 sia stata frettolosa e infelice. Fu approvata dal centro-sinistra nell’ imminenza delle elezioni politiche, nella speranza (rivelatasi illusoria) di sottrarre, in nome del federalismo, consensi alla Lega.

Oggi è tornata di attualità una delle norme allora approvate. L’articolo 116 prevede che le Regioni che ne facciano richiesta possono ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» rispetto a quelle previste in via generale per le Regioni. Per questo si parla di “autonomia differenziata”. Rimasto nel cassetto per più di vent’anni, l’articolo 116 è una delle bandiere del nuovo governo, e il ministro leghista, Roberto Calderoli, ne sta avviando l’attuazione.

La richiesta. La procedura prevista dalla norma costituzionale prevede che ogni Regione possa chiedere poteri sulle materie che, in via generale, l’ar- ticolo 117 attribuisce alla “legislazione concorrente”, nella quale la regola è che la determinazione dei princìpi fon- damentali è riservata alla legislazione dello Stato. Tra queste materie rientrano la tutela e la sicurezza del lavoro, la salute, l’istruzione, la ricerca, e molte altre di grande rilievo sociale.

Alcune Regioni del Nord, a guida leghista (la Lombardia e il Veneto) o di centro-sinistra (l’Emilia Romagna), hanno chiesto l’attribuzione della com- petenza su tutte o su alcune di queste materie, e il trasferimento delle cor- rispondenti risorse. L’articolo 116 pre- vede che su queste richieste si raggiunga un’intesa tra la Regione interessata e lo Stato (in concreto, il governo). L’intesa è poi sottoposta al Parlamento, che l’approva (o la respinge) in blocco, senza poterla modificare.

Le critiche. Molte critiche sono state mosse all’ autonomia differenziata. C’è ancora una premessa da fare: le Regioni possono fare richiesta, ma spetta a governo e Parlamento decidere se accettarla. È giusto che l’attuazione di diritti sociali e beni comuni (istruzione, sanità, energia, ambiente) non siano più di competenza dello Stato, ma di singole Regioni, con il rischio di ac- centuare la differenza – che purtroppo già esiste – nel paese, e soprattutto tra Nord e Sud?

I Lep. In proposito è importante quanto prevede l’ articolo 117: spetta allo Stato (con legislazione “esclusiva”) determinare «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (Lep).

La legge sui Lep non è mai stata fatta. Il rispetto sostanziale della Costituzione (ma anche il buon senso) vorrebbe che prima si determinino i livelli di garanzia dei diritti fondamentali, e poi si proceda all’autonomia diffe- renziata. Questa comporta ovviamente un trasferimento di risorse per consentire alle Regioni di poter esercitare i nuovi poteri loro attribuiti.

Ma tali risorse non devono comunque eccedere la misura che impedirebbe di proteggere i diritti sociali e civili degli abitanti delle altre Regioni. Invece, il ministro Calderoli vuole il contrario: poteri e soldi alle Regioni del Nord, e poi gli altri se la caveranno con quello che rimane.

È necessaria quindi la massima attenzione per evitare che l’autonomia differenziata comporti la violazione di uno dei più importanti princìpi fondamentali della Costituzione: l’uguaglianza legale e sostanziale di “tutti i cittadini”, come è scritto nell’articolo 3.