Gaetano Sateriale: le politiche di genere nella contrattazione sociale

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Gaetano Sateriale, autore di Come il welfare crea lavoro e responsabile del piano del lavoro Cgil, ha partecipato ieri come relatore all’Assemblea nazionale delle donne Spi Cgil. Di seguito riportiamo il suo intervento sulle politiche di genere nell’ambito della contrattazione sociale.

Vorrei innanzitutto ringraziarvi per l’invito ad intervenire in questa importante Assemblea Nazionale: è per me un onore e una sfida. Se è vero che il sapere sindacale è un sapere sperimentale, dipende cioè dalle esperienze dirette fatte, posso accampare qualche conoscenza in materia di contrattazione sociale territoriale ma sul tema delle politiche di genere sono un apprendista alle prime armi. Cercherò di compensare questa mancanza cercando di essere anche io “concreto” e selezionare i tanti temi ed esperienze che voi avete esposto nella relazione di Lucia Rossi, nel documento e nel dibattito.

Vi sono due grandi ambiti da percorrere per ridurre il divario sociale di genere: A) rimuovere gli ostacoli tra donne e mercato del lavoro, B) ridurre le discriminazioni verso le donne sul lavoro.

  1. Il principale diaframma tra le donne e il mercato del lavoro è senza dubbio il lavoro di cura o il doppio lavoro delle donne, se si preferisce (per molte donne il lavoro principale per tutta la vita): verso gli anziani, i bambini, ma anche i maschi adulti. Quest’attività di cura ha una doppia natura: da un lato ritarda o impedisce il passaggio da famiglia a lavoro dall’altra costituisce il fondamento del welfare di famiglia che rappresenta, in Italia, il più grande ammortizzatore sociale che ci sia.

Su questo primo punto individuerei due priorità: i bambini e gli anziani. La diffusione degli asili nido (e della scuola per l’infanzia) in tutto il territorio nazionale meriterebbe un programma politico di legislatura (un voto convinto al partito che lo dovesse proporre), poiché rappresenta un investimento doppio, uno educativo sulla prima infanzia (momento in cui le strutture scolastiche italiane sono molto deficitarie in Europa), uno sulle donne perché consente loro di cercare lavoro o tornare al lavoro poco dopo la nascita di un figlio. Ed è anche un modo per creare posti di lavoro per le donne. Tra asili pubblici e asili accreditati si possono favorire integrazioni purché la rete scolastica sia, per qualità e costi, sotto responsabilità pubblica. È più rischioso consentire la diffusione di asili nido aziendali riservati ai figli dei dipendenti, anche perché dal punto di vista pedagogico è preferibile la mescolanza sociale. In termini più generali è opportuno che il welfare aziendale sia messo in rete con quello universale e non in concorrenza con quest’ultimo.

Più complesso il tema degli anziani. Se è vero che è preferibile la domiciliarità sia per rispondere alla non autosufficienza (in opposizione alla diffusione di “case di riposo” che spesso sono prive di assistenza e costituiscono luoghi di abbandono quando non di violenza) sia per garantire un invecchiamento attivo, è altrettanto vero che non si può per questa via accrescere il lavoro di cura in famiglia. La richiesta di servizi di assistenza domiciliare pubblica deve essere presente nella contrattazione sociale territoriale. Ma nemmeno si può immaginare che dall’oggi al domani venga cancellato il lavoro di cura e sostituito dal welfare. Si tratterà quindi di gestire al meglio momenti di transizione che contemplano sostituzioni, integrazioni e valorizzazione del lavoro di cura esistente.

Se la misura del reddito di cittadinanza è ancora strumento incerto e contraddittorio che separa concettualmente l’idea del reddito da quella del lavoro, la retribuzione o l’integrazione pensionistica che riconosca il lavoro di cura può essere un terreno interessante di confronto. Sempre in fase di transizione si possono estendere le esperienze di “banca ore”, cui corrispondano sia uomini che donne, che in presenza di un plus di servizi di assistenza garantisca una disponibilità di lavoro verso la propria comunità da definire assieme alle istituzioni locali. Questo è un tema che può essere discusso a livello regionale e comunale con la contrattazione sociale.

Ancora sul punto del superamento delle barriere tra famiglia e lavoro dovremmo proporre politiche attive mirate alle esigenze delle donne. Non tanto per aggiungere pacchetti formativi al profilo professionale delle donne che è già mediamente più elevato di quello dei maschi, quanto nella presa in carico da parte di un soggetto pubblico della fase in cui domanda e offerta di lavoro si incontrano a tutela delle donne su flessibilità contrattata e contro discriminazioni (ad esempio le dimissioni in bianco). Momenti di formazione e monitoraggio sul lavoro possono essere molto utili.

Già da questo primo ambito di approfondimento si intuisce che un welfare più omogeneo e diffuso può rappresentare non solo un obiettivo necessario per il miglioramento delle condizioni di vita delle donne ma anche un modello alternativo di sviluppo e creazione di posti di lavoro. Questa è almeno la mia opinione e non solo per l’Italia. Penso che anche in Europa si debba con urgenza definire un nuovo contratto di cittadinanza basato su livelli minimi di assistenza garantiti a tutti. Altrimenti la cittadinanza europea è sempre più priva di un ritorno esigibile di diritti rispetto ai vincoli imposti. E risulta sempre meno comprensibile.

  1. Sul tema della tutela antidiscriminatoria della donna sul lavoro, come primo punto si dovrebbe collocare al centro della contrattazione nazionale (Ccnl) e di secondo livello l’obiettivo di aumentare l’occupazione, anche usando il criterio delle quote femminili e della ripartizione del lavoro. Poi sarà necessario, insieme alle categorie, pensare a una tutela sui luoghi di lavoro, nelle piattaforme di secondo livello, di mansioni, inquadramento, retribuzioni. È ben vero che questo terreno negoziale è difficile per tutti, che sono anni che non si fa nemmeno per gli uomini, ma questo non deve rappresentare un ostacolo bensì un’occasione in più per misurarsi nel sindacato sulle priorità e poi con le imprese.

Molti altri temi sono stati da voi trattati.

Sulle tragiche vicende del terremoto (come l’ha ben descritto la compagna di Macerata) vorrei ricordare che si misura tutta la distanza tra il dire e il fare del governo nazionale. E la distanza che c’è tra la gestione nazionale dell’emergenza, che pure è presente e molto efficiente (tra Protezione Civile e Commissario) e le diverse esigenze locali di assistenza economica, sociale e persino psicologica. Anche per noi, che siamo una straordinaria rete di relazioni sociali, quella tragica vicenda misurerà la capacità del sindacato di essere davvero rappresentanti sociali e interlocutori tra cittadini e istituzioni locali con trasparenza, efficacia, capacità di controllo e di denuncia. Forse non è il caso di parlare qui di contrattazione sociale ma certamente di costruzione di una necessaria rete di connessione tra comunità e istituzioni.

Un altro tema è quello della sicurezza, molto sentito dalle persone anziane e sole. Un tema che in un’eventuale indagine sui bisogni risulterebbe senz’altro al primo posto. E su cui non è sufficiente dire che spesso si tratta di un’insicurezza percepita più che reale. I cittadini chiedono maggiori garanzie e noi, con la contrattazione sociale, dobbiamo dargliele. Penso che un uso più diffuso del vigile di quartiere e dell’ausiliario alla vigilanza possa evitare il diffondersi della sicurezza fai da te e delle ronde da un lato, e dall’altro ridurre il propagarsi della paura e della tentazione a chiudersi delle persone sole e degli anziani nei confronti di ogni relazione sociale. Nelle città anche il cohousing per anziani, purché non solo per anziani, può essere una risposta giusta sulla sicurezza.

Infine, sul “bilancio di genere”, vorrei dire che è uno strumento utile e da estendere. Ma che si tratta di un quadro informativo da cui partire per definire la mappa dei bisogni non coperti, piuttosto che non un risultato in sé.

Su questi contenuti, quale sistema contrattuale per avviare le politiche di genere?

La contrattazione sociale territoriale certo, pur essendo quasi tutta svolta al Centro Nord, in gran parte dallo Spi e negli ultimi anni molto difensiva. E quella sul lavoro (dal Ccnl al 2° livello), ma anche questa è ridotta in quantità e comprensibilmente difensiva nella crisi. C’è invece bisogno di una grande innovazione delle due gambe del sistema contrattuale, ottenibile non aumentando la “specializzazione” e la separazione ma solo se c’è coordinamento e dialogo tra categorie e confederazione.

Su questo tema sembra che si confrontino due modelli, seppure non in esplicito. Uno pensa che per essere più forti a tutelare il lavoro ci si debba concentrare sui rappresentati tradizionali e contrattare nei luoghi di lavoro. Per far questo occorrerebbe più potere contrattuale di categoria e meno ruolo confederale nel sindacato.

L’altro, quasi opposto, ritiene che per rappresentare meglio il lavoro è necessario essere più presenti e più forti nel sociale e che per far questo si debba rafforzare la confederalità: una nuova confederalità nata dalla sintesi dei saperi e delle esperienze confederali e di categoria.

A me pare decisamente più realistico il secondo modello. A meno che non si pensi che sarà talmente forte la spinta alla crescita dell’industria manifatturiera 4.0 che da lì si finisca per innovare l’intera struttura economica e sociale e talmente forte il sindacato dell’industria manifatturiera da tornare a conquistare diritti per tutti, come è stato negli anni 70. Ma a me sembra questa un’ipotesi ritagliata su nostalgie sindacali del secolo scorso, visto che persino come numero di iscritti ormai le categorie dell’industria manifatturiera non sono più così forti come le abbiamo conosciute allora.

In ogni caso, ricordate bene questo principio generale, se nel nuovo sistema contrattuale, comunque sia fatto, o meglio, se ai tavoli del nuovo sistema contrattuale, non ci sono sedute le donne, non sarà il sindacato maschile a portare avanti le politiche di genere di cui abbiamo parlato in questi giorni. È sempre stato così nel nostro mestiere: le svolte, le innovazioni, sono sempre state gestite direttamente, “personalmente” vorrei dire, dai protagonisti. In questo sta il senso e la funzione delle nostre rappresentanze e dei nostri “delegati” sui luoghi di lavoro e nel territorio.

Per concludere, in Italia c’è da anni una allarmante questione sociale (che la politica ha scoperto nel 2016, dopo le ultime elezioni amministrative). È fatta di povertà, di invecchiamento, di immigrazione, di qualità della vita che si è ridotta. In Italia c’è da anni una grave questione del lavoro (che la politica non ha ancora scoperto, immaginandosi di gestire il mercato del lavoro attraverso modifiche giuridiche in peius invece che con politiche economiche di sostegno della domanda). È fatta di disoccupazione e di svalorizzazione del lavoro.

Ma queste due situazioni non sono gravi per tutti allo stesso modo. C’è il Mezzogiorno con caratteristiche e gravità ancora più forti sia nel sociale che nel lavoro. C’è la disoccupazione giovanile che rappresenta una vera emergenza, ci sono gli anziani con i loro bisogni (di reddito, di solitudine, di salute e assistenza) e le donne.

Ma le donne hanno una caratteristica particolare e ce l’hanno solo loro: stanno in tutti i sotto insiemi dei problemi sociali e del lavoro che abbiamo richiamato. Rappresentano quindi un possibile collante forte per riunificare e tentare di rispondere alla complessità e all’articolazione dei bisogni sociali e del lavoro. Possono essere un volano di rilancio dei diritti e del miglioramento delle condizioni di vita per tutti.

Quindi non credete a un tipico errore maschile (un alibi più che un errore), non fidatevi di chi dice “se c’è miglioramento nei punti di forza ci sarà progresso per tutti”. Non è vero, anzi è vero il contrario. È dai punti di maggiore crisi che si deve partire per ridurre le diseguaglianze. Su quelli si debbono concentrare gli investimenti politici e sindacali. Quindi il miglioramento delle condizioni economiche e della qualità della vita del paese è nelle vostre mani.