Lombardia, diario da un ospedale #8. Il cambiamento

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In questi giorni difficili nelle nostre case entrano immagini e parole che narrano di ospedali in affanno, di uomini e donne che lavorano senza sosta per salvare quante più persone possibile, di reparti di rianimazione stremati. LiberEtà vuole raccontare da dentro il lavoro di chi ogni giorno, con dedizione e generosità, regala un pezzo della propria vita alla collettività. Lo facciamo pubblicando le pagine del diario di una ricercatrice che lavora in un ospedale lombardo. Resta anonima, certo per pudore ma soprattutto per tutelare la fatica dei tanti medici, ricercatori e infermieri che stanno vivendo un passaggio della loro vita davvero complicato. Un diario che raccoglie e rappresenta la voce di tutti e i sentimenti, le preoccupazioni, le stanchezze, le esperienze e le sensazioni di chi lotta contro il coronavirus.

Lombardia, 14 aprile 2020

Ogni giorno ritrovo un Ospedale diverso; si adegua ai veloci cambiamenti richiesti dalla situazione contingente. Il Covid-19 è come i ciclisti che sulla salita più dura della tappa cruciale si alzano sui pedali e piazzano lo strappo, per vedere chi ce la fa a rimanere a ruota.

L’Ospedale continua a rispondere colpo su colpo con capacità di adattamento e velocità. Sono stati riadattati padiglioni, costruite intere aree, ricollocate competenze e strumenti, tutto per stare a ruota di un virus che non smette di tenere sotto pressione la capacità di adattamento di tutto e tutti. Ma a quale prezzo dal punto di vista sanitario?

Ogni giorno, in questi anni, ho contribuito a curare pazienti colpiti da malattie diverse in diversi stadi, mentre altrettanti sforzi venivano dedicati a prevenire l’insorgenza delle stesse. Lotta e prevenzione, questa era la sanità. Oggi il Covid-19 ha assorbito quasi il 100 per cento delle risorse prima distribuite su una vasta gamma di attività ospedaliere. Nel frattempo, tutte le altre malattie non hanno smesso di sorgere, manifestarsi, colpire, con la stessa intensità, ma le risorse sanitarie dedicate a lotta e prevenzione sono molto diminuite in queste settimane.

Ancora si discute su come contare i decessi “per covid” o “con covid”, ma credo che un giorno dovremo ampliare la prospettiva e imputare a questo maledetto virus anche tutti quei decessi per malattie differenti, non adeguatamente trattate a causa delle risorse assorbite dalla battaglia anti-covid. Nel linguaggio internazionale della guerra i morti civili per effetto di un conflitto si chiamano “casualties”. Ecco, forse andranno considerati nello stesso modo, perché c’è una correlazione diretta tra la battaglia in corso e questi decessi. La speranza di tornare prima possibile alla normalità è anche legata all’urgenza di tornare a occuparci di tutte le altre malattie, che purtroppo continuano a colpire con forza immutata.

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