La corsa rosa: un secolo di storia in bicicletta

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Milano, piazzale Loreto, 13 maggio 1909, ore 2,53. È ancora notte fonda quando 127 corridori prendono il via per percorrere i 397 chilometri che li separano da Bologna. È l’inizio del primo Giro ciclistico d’Italia. Un’avventura che diventerà storia. Quest’anno la “corsa rosa” celebra la sua centesima edizione. Un secolo di emozioni e di passione sportiva per milioni di persone.

«Sono le 2,53. I piedi premono, i garretti scattano, il piccolo esercito di ciclisti si stacca. La folla scoppia in un lungo ululato di ammirazione, di entusiasmo, di augurio, di gioia. Un lampo, una luce bianchissima, abbagliante, che tutto avvolge e illumina come pieno meriggio». Così La Gazzetta dello sport del 14 maggio 1909 descriveva la partenza del primo Giro ciclistico d’Italia. Il giorno precedente, a notte fonda, i corridori erano partiti da piazzale Loreto, a Milano, alla volta di Bologna. Il primo Giro si concluse, sempre a Milano, il 30 maggio, dopo otto tappe (se ne correva una ogni tre giorni). Sul podio più alto: Luigi Ganna che, intervistato, rispose con la famosa frase: «Me brüsa el cü».

Quest’anno il Giro d’Italia corre la sua centesima edizione, un traguardo che i suoi ideatori non potevano certo immaginare. Migliaia di chilometri, salite spezzagambe e discese mozzafiato, sudore e fatica, gioie e dolori: questo è il Giro d’Italia che riesce ancora ad appassionare milioni di persone. Perché se è vero che in Italia il calcio è lo sport nazionale, la “corsa rosa” è l’evento che più di ogni altro ha inciso nel nostro immaginario e ha contribuito alla costruzione della nostra memoria collettiva. Prima la voce di Mario Ferretti alla radio, poi le telecronache in bianco e nero di Sergio Zavoli e Adriano De Zan hanno raccontato non soltanto un evento sportivo ma anche un pezzo di storia e di costume del nostro paese. A molti italiani le tappe del Giro hanno fatto scoprire luoghi di cui, forse, non sospettavano l’esistenza, contribuendo in qualche modo a rinsaldare le radici della nostra identità culturale.

Il dominio di Binda. Cento edizioni sono tante, così come tanti sono gli episodi e i nomi da ricordare. E non solo quelli dei campioni, ma anche quelli dei “gregari”, la cui presenza ha permesso, e permette ancora, ai primi di conquistare il successo. Dopo le prime sei edizioni, la Grande guerra piomba sul Giro, costringendolo a fermarsi. Si tornerà in sella nel 1919 e a scrivere il suo nome nell’albo d’oro sarà Girardengo, che vincerà ancora nel 1923. Da lì in poi inizia il dominio di Alfredo Binda, primo nel 1925, 1927, 1928 e 1929. Ma quattro vittorie in cinque anni sono troppe anche per gli organizzatori, che l’anno successivo gli chiederanno di non partecipare pagandogli lo stesso il compenso (22.500 lire) previsto per il vincitore (Binda vincerà il suo quinto Giro nel 1933). In quegli anni, la “maglia rosa”, simbolo del primato, ancora non esiste: nascerà nel 1931, il colore ispirato da quello della Gazzetta dello sport che organizza la corsa. Il primo a indossarla sarà Learco Guerra, la “locomotiva umana”, vincitore della prima tappa Milano-Mantova.

I grandi rivali. E arriviamo al 1936. Da due anni la radio trasmette ogni giorno la cronaca delle tappe del Giro, quando un giovane toscano, burbero ma dal cuore grande come una casa, dopo aver vinto dieci tappe fa sua la maglia rosa. È Gino Bartali che si ripeterà l’anno seguente e nel 1938 conquisterà il suo primo Tour de France. In quell’occasione, durante la premiazione a Parigi, si rifiuterà di fare il saluto fascista. Sono gli anni in cui “Ginettaccio” sembra non avere rivali, ma al Giro del 1940 un suo giovanissimo gregario di nome Fausto Coppi, va fortissimo. Così forte che nella tappa dell’Abetone conquista la maglia rosa e il 9 giugno 1940 la porta fino a Milano. Il giorno dopo Mussolini annuncerà l’entrata in guerra dell’Italia, precipitando il paese nel baratro di un disastro senza precedenti. Dopo la guerra, nel 1946, Bartali vincerà il suo terzo Giro, corso in un paese ridotto a un cumulo di macerie, ma con la speranza nel futuro. Coppi, invece, conquisterà quelli del 1947, 1949, 1952 e 1953. In mezzo, le due vittorie (1948 e 1951) di un altro grande, Fiorenzo Magni, che farà tris nel 1955. E se davanti si lotta per la maglia rosa, in coda al gruppo si consuma la sfida per la “maglia nera” che premia l’ultimo in classifica. Pur di conservare il singolare “primato”, Malabrocca e Carollo ingaggiano duelli memorabili, arrivando addirittura a nascondersi nei bar o nei fossi e a forare le ruote delle proprie biciclette.

Anquetil, Adorni, Gimondi, Merckx. Tra gli anni Sessanta e Settanta sono loro a sfidarsi al Giro, con la Tv che racconta quotidianamente le loro imprese. Per tre volte Gimondi farà sua la maglia rosa (1967, 1969, 1976), pur dovendosi scontrare con Eddy Merckx, il “cannibale”, che di Giri ne vincerà cinque (1968, 1970, 1972, 1973, 1974). Ma quelli sono anche gli anni dei primi scandali per doping: nel 1968 diversi corridori, tra cui Motta e Gimondi, vengono squalificati; l’anno seguente toccherà a Merckx. Gli anni Ottanta, invece, sono caratterizzati dalla rivalità tra Beppe Saronni e Francesco Moser. Nel 1979, Saronni vince contro ogni pronostico (ripetendosi nel 1983, dopo le due vittorie di Hinault). Moser deve attendere il 1984: nell’ultima tappa, la cronometro di Verona, si riprende la maglia rosa che Fignon gli aveva strappato due giorni prima.

Il Pirata entra in scena. Nel 1990 Gianni Bugno stravince il Giro, indossando la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa. Poi arriva Marco Pantani. Secondo nel 1994 e ritiratosi nel 1997, nel 1998 Pantani arriva a Milano in maglia rosa. Memorabile la sfida con il russo Pavel Tonkov lungo le rampe di Montecampione nella diciannovesima tappa. A luglio, il Pirata conquisterà anche il Tour de France. L’anno seguente, Pantani, che sta dominando il Giro, prima della penultima tappa viene fermato per valori di ematocrito troppo alti. Gli occhi del Pirata che lascia l’albergo di Madonna di Campiglio tra due carabinieri raccontano tutta la sua amarezza. Quell’episodio segnerà la sua fine: di sportivo e di uomo. Malgrado vari tentativi, infatti, Pantani non riuscirà a ritrovarsi e precipiterà nella disperazione e nella droga. Morirà solo, in un residence di Rimini, la notte del 14 febbraio 2004. Gli anni che seguono sono cronaca recente fino alla vittoria di Vincenzo Nibali dello scorso anno.

Secondo molti il Giro avrebbe perso il suo antico fascino, vittima del doping e dei tatticismi esasperati delle squadre. In realtà, l’amore nei suoi confronti non sembra venir meno. Quando, come un lampo di colori, il gruppo attraversa i paesi o i corridori alla spicciolata affrontano salite che solo a pensarle si fa fatica, è sempre motivo di festa. Certo, non sarà più il Giro eroico delle strade sterrate e delle facce impastate di polvere e sudore, ma vedere i corridori che affrontano, magari sotto la pioggia o la neve, le rampe del Mortirolo, dello Stelvio o del Fedaia, e intorno migliaia di persone che li incitano, senza distinzione di squadra o di nazionalità, testimonia che il Giro riesce ancora ad accendere la fantasia e a scatenare la passione. E, chissà, forse riuscirà a farlo ancora tra cento anni…