Amatrice, ritorno amaro a quattro anni dal sisma

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L’edilizia privata mai ripartita. Un ricostruzione che non decolla. Amatrice e il centro Italia colpito dal sisma quattro anni fa, rimangono senza vita. Colpa della burocrazia, mentre e il “cratere” dei comuni colpiti si spopola. La denuncia di LiberEtà, nel reportage pubblicato l’anno scorso sul nostro giornale.

 Il ritorno ad Amatrice è un tuffo al cuore. Gli edifici straziati dal terremoto sono stati abbattuti, ma lì – dove una volta c’era il centro abitato di questa ridente cittadina – oggi di ricostruito c’è ben poco. Buona parte delle macerie sono state rimosse, ma la vita non è tornata. Non ancora. Quello che una tempo era il bel corso, subito dopo la l’incurvatura del vecchio ospedale che ora assomiglia ad un rudere abbandonato da anni, è diventata niente altro che una strada di passaggio tra due ali di rovine con la sola torre dell’orologio – simbolo della devastazione che si è portato via 300 vite (249 nella sola Amatrice) tre anni fa – rimasta a guardia. Per trovarla, un po’ di vita, bisogna risalire più su del paese, sulla strada per i Monti della Laga. Il centro commerciale nuovo di zecca “Alta quota” e l’Area Food, sorta grazie alle donazioni raccolte della 7 e del Corriere della Sera, restituiscono scampoli di normalità con frotte di avventori che popolano il Ristorante Roma, luogo di culto dell’amatriciana.

Qua e là i cantieri segnalano gli edifici pubblici che a poco a poco stanno rinascendo. Ma quello che non riparte è l’edilizia privata. I dati che ci comunica Antonio Fontanella, sindaco di centrosinistra eletto a maggio – con la Lega sotto il 50 per cento in tutta l’area del cratere che bussa alla porta, sintomo della protesta che cresce – sono una mazzata.

Dei 2600 residenti, ben 1500 sono ancora nelle Sae o da qualche parte in affitto grazie al contributo di sistemazione autonoma. Ma nonostante questo, solo per il 10 per cento dei 4600 edifici danneggiati è stato presentato domanda per il contributo pubblico. Una sproporzione tra residenti e immobili che si spiega con l’enorme numero delle seconde case.

Del resto ad Amatrice e in 15 delle frazioni perimetrate dopo il sisma, prima di edificare sarà necessaria l’approvazione del piano di ricostruzione, che a tre anni di distanza l’amministrazione non è ancora riuscita ad approvare. Come è possibile per un cittadino districarsi nel ginepraio delle leggi e delle ordinanze, quando nemmeno i sindaci sanno dove costruire? Tre governi, tre commissari straordinari, 82 ordinanze dove l’una correggeva l’altra, non sono serviti a rimuovere gli ostacoli della burocrazia.  «Affoghiamo in un mare di carta – attacca il sindaco –, quando abbiamo finito con i vincoli idrogeologici, fanno capolino quelli del ministero dei Beni culturali. Siamo all’assurdo di dover fare le pulci a quelli che hanno costruito trenta o quaranta anni fa un bagno abusivo per il semplice fatto che non lo avevano in casa, mentre la gente a poco a poco va via». Amatrice ha già perso un terzo degli abitanti, e i giovani appena possono, scappano. E se nell’epicentro della scossa la situazione è questa, in altri comuni va anche peggio.

«Nelle frazioni sono rimasti gli anziani, la fuga dei giovani condanna il territorio. Ad Accumoli, ad esempio, – accusa Rosalba Guerrini, segretaria della Lega Spi di Amatrice – hanno fatto la corsa a fare la scuola, ma di bambini ne sono rimasti in tre». La grande gara di solidarietà e le pur ingenti risorse pubbliche messe in campo – 22 miliardi che non si riescono a spendere -, sbattono contro le strozzature del sistema. Ad Amatrice, dei 27 tecnici necessari per seguire le pratiche, ne mancano all’appello 9. E gli altri in servizio hanno in maggioranza contratti a termine che scadono nel 2020.

Un altro problema è il numero dei tecnici privati che seguono le pratiche dei cittadini comuni. «Pochi per un territorio che ha vissuto una catastrofe come quella di tre anni fa» ci ricorda il sindaco di Cittareale Francesco Nelli, che ha spostato il comune in un container sulla Salaria. Risultato: a Cittareale, 450 anime in tutto, le pratiche presentate per i danni lievi ammontano al 32 per cento del totale, ma per i casi più gravi coprono appena il 3 per cento del totale.

«Ma quello di cui si parla poco  è il fatto che sta scomparendo l’economia collegata alle seconde case, abitate d’estate, nelle festività e nei fine settimana e che rappresentavano un sicuro mercato di sbocco per le produzioni locali. Chi è riuscito a rimettere in moto la sua azienda, deve fare i conti anche con questo», sottolinea Nelli. E intanto un altro inverno incombe su Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e le altre che aspettano ancora la ricostruzione.

Una casetta per i diritti

«La popolazione anziana è quella che continua a pagare più di tutti questo lungo post terremoto, noi siamo qui presenti fin dall’inizio accanto a chi ha perso molto, ma che ogni giorno dimostra nonostante tutto di voler voltare pagina e tornare a vivere una vita normale».

A tre anni dal sisma che ha colpito le popolazioni del Centro Italia, Walter Filippi, segretario dello Spi Cgil di Rieti parla, dell’impegno fattivo che il sindacato ha profuso dopo quel maledetto 24 agosto 2016 e delle sfide immani che ancora aspettano questo territorio martoriato.

A pochi giorni dal disastro, giunse qui ad Amatrice un camper dei tre sindacati confederali per dare sostegno alla popolazione, che aveva in quel momento veramente bisogno di tutto. «Fu un momento veramente duro – ricorda Walter -, in cui abbiamo cercato di alleviare le sofferenze della gente non solo seguendo le loro pratiche, ma anche con momenti di solidarietà concreta da parte di tutta la nostra organizzazione». La “casetta”, la nuova sede dello Spi di Amatrice inaugurata l’anno scorso, a pochi passi da quel che resta del centro del Paese, è essa stessa simbolo di questa solidarietà: «Lo Spi Lombardia ci ha donato la struttura in legno, dalla Lega di Abbadia San Salvatore ci ha regalato il prato. Ma molte altre Leghe ci sono state vicine», ricorda.

La casetta è un avamposto nel cuore di una ricostruzione che stenta a decollare, che arranca tra il rischio sempre più concreto di spopolamento dei 138 comuni del cratere e le mille difficoltà burocratiche che ogni giorno gli amministratori locali sono costretti ad affrontare per restituire una minima parvenza di normalità ai cittadini.

«In gran parte delle frazioni – racconta la segretaria di Lega Rosalba Guerrini – sono gli anziani a combattere la battaglia più dura: quella della solitudine dopo il clamore. Parlo di Colle Magnone, Cornillo Vecchio, Sommati, e di tutti gli altri villaggi di poche decine di anime dove la ricostruzione non è mai cominciata e dove non è rimasto nulla, nemmeno un bar». Rosalba ci racconta delle case di 40 metri quadri, abitate da anziani che non possono permettersi di ospitare i figli che stanno fuori o una badante. Di quelli che non escono più di casa, perché vivono lungo il fianco ripido della montagna. Di altri che hanno perso tutto: una figlia, la moglie, i nipoti. Anche la vita quotidiana diventa una battaglia: quella ad esempio per non far pagare a chi ha meno di 500 euro al mese di pensione il biglietto da 1,20 per l’autobus che collega le frazioni ai negozi giù in paese.

L’impegno dello Spi per queste persone si misura nei chilometri che percorre ogni giorno Domenico Coletti con la panda dello Spi Cgil per raggiungere le frazioni più sperdute. «In media 70, ma anche di più in casi di emergenza», puntualizza.

L’emergenza sanitaria incombe sul territorio. «Chi ha bisogno dell’ospedale deve percorrere anche sessanta chilometri per raggiungere Rieti, L’Aquila o Ascoli Piceno». Di specialisti sul territorio ne sono rimasti in pochi: l’oculista e il reumatologo ci sono, ma per il diabetologo bisogna andare ad Antrodoco, alle porte del capoluogo. E la radiologia funziona solo su corrispondenza: «Per una lastra c’è il centro di Amatrice – conclude Rosalba – , ma chi la legge sta a Rieti e le risposte possono arrivano dopo ore».