A 73 anni va a piedi da Gubbio a Roma per sostenere i centri antiviolenza donne

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«Cammino per duecento chilometri per accendere l’attenzione sulla condizione economica sempre precaria dei centri antiviolenza donne dell’Umbria e per invitare i cittadini a sostenerli finanziariamente». È così che, a settantatré anni, Giuliana Baldinucci ha deciso di percorrere a piedi la strada che da Gubbio porta a Roma.

Stanca della condizione nella quale da anni si trovano a lavorare le operatrici dell’associazione Libera…mente donna, che nella regione gestisce le strutture per donne maltrattate, la dirigente Auser della Val di Chiascio, associazione di volontariato dello Spi Cgil, non ci ha pensato due volte. Il 22 maggio, è partita da Gubbio e ha iniziato il suo cammino di pellegrina in direzione Roma percorrendo la via Francigena. Duecento chilometri che farà da sola, attraversando boschi e sentieri di montagna prima di giungere nella capitale. Sul luogo scelto per tagliare il simbolico “traguardo” non si sbilancia: «Non ho pensato a niente ma posso vedere se riesco ad arrivare alla sede di Libera…mente donna».

Un gesto che è anche un invito ai cittadini a versare contributi (Associazione Libera Mente UNICREDIT SPA VIA ANTINORI 91 PERUGIA 06123. Iban: IT49D0200803037000102432915. Causale: “Per solidarietà con il cammino di Giuliana”) per aiutare l’associazione nelle attività che svolge quotidianamente a favore di tante donne che lì trovano protezione e possibilità di immaginare di nuovo, per se stesse e i loro figli, un futuro lontano da minacce e violenze.

Siamo riusciti a contattarla mentre, da Spoleto, andava a Ciselli, da qui entrerà nella Val Nerina: «Sto attraversando il bosco sacro di Monte Luco, tra i sentieri che costeggiano il fiume Nera e i corsi d’acqua che formano la cascata delle Marmore. È la strada di San Francesco».

Con il pesante zaino sulle spalle e con l’aiuto del bastone, Giuliana – già insegnante di matematica ed ex dirigente regionale dello Spi Cgil – percorre tra i venti e i venticinque di chilometri al giorno: «Sono duri da fare perché qui siamo in montagna, ma sono un spirito libero e da sola sto bene». Ogni giorno deve trovarsi un posto per dormire ma è un problema che risolve con il cellulare. Attraverso WhatsApp rimane in contatto con amiche, amici, figli e nuore. Il gruppo social che la segue costantemente aumenta di ora in ora, la incoraggia e le chiede informazioni mentre lei manda foto e posizione geografica in cui si trova. Lungo il cammino si è anche persa ma, sempre grazie al cellulare, cinque vigili del fuoco sono riusciti a recuperarla prima che sui boschi scendesse la notte e il mattino dopo si è nuovamente incamminata verso Roma, tra lo stupore e l’incitamento di amiche e amici che la seguono sui social.

Ci vuole una bella motivazione per affrontare un cammino così lungo, a 73 anni: «Non sono più giovane ma l’esempio l’ho preso da mia nuora che è italiana e vive a Londra con mio figlio. Lei ha corso per 160 chilometri per promuovere una raccolta fondi a favore di una associazione che si occupa dello stesso problema. Giovani o anziane che siano, le donne devono lottare contro la violenza in ogni parte del mondo, purtroppo. Quanto alle motivazioni, quella principale è legata al lavoro svolto per decenni: rimango profondamente un’insegnante e sono convinta che l’insegnamento non passa tramite ciò che dici ma attraverso quello che fai. Ecco, vorrei che la mia azione portasse tante persone a donare qualcosa ai centri antiviolenza. Chi segue la mia iniziativa e vuole sapere come andrà a finire la storia, se farà qualche versamento aiuterà tante donne: quelle che ogni giorno cercano di lasciare aperte queste strutture e quelle che a queste strutture si rivolgono per essere tutelate. Ricordo che le donazioni si possono scalare dalle tasse».

La mancanza di fondi per i Centri antiviolenza, in Umbria, e non solo, è un tema che si trascina avanti da anni, una condizione che si crea ogni volta che gli enti locali umbri devono decidere sui fondi da destinare ai Centri antiviolenza. «Una ragazza che opera lì – racconta Giuliana – mi diceva che hanno difficoltà nel programmare le attività per i bimbi. Se non le programmano, le mamme non possono cercare lavoro. È una catena, e per farla girare ci vogliono i soldi. È così da tanto tempo. Posso affermarlo perché in passato, per alcuni anni ho fatto anche parte della commissione pari opportunità del mio Comune e le cose funzionavano più o meno allo stesso modo. Comunque, è da gennaio che gli operatori non prendono soldi».

Soltanto a Perugia, il centro antiviolenza residenziale Catia Doriana Bellini ha dato accoglienza a più di 260 donne nel 2020 e circa 50 nel 2021. Dal 2014 a oggi ne ha accolto oltre 1800 e ospitato 152 donne e 164 minori. Mentre, a livello europeo, la convenzione di Istanbul dichiara che i centri antiviolenza rappresentano la principale organizzazione nell’azione di contrasto alla violenza di genere, «noi – scrive l’associazione sul sito liberamentedonna.it – denunciamo l’assoluta precarietà in cui versa il Centro Antiviolenza Catia Doriana Bellini, come tutti gli altri centri, destinatari di fondi in modo discontinuo e senza la possibilità di programmare a lungo termine le proprie attività. Vogliamo certezze, confronto e coerenza, perché vogliamo poter accogliere le donne in modo organizzato e con continuità».

In Italia i dati Istat indicano che una donna su tre ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.