lunedì 29 Aprile 2024
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Latte a prova di etichetta

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Latte a prova di etichetta

Dal 1° gennaio anche sulla bottiglia del latte a lunga conservazione potremo leggere l’origine del prodotto: dove è stato munto, dove è stato condizionato e trasformato.

Cosa cambia. Da dove viene il latte che beviamo ogni mattina o che consumiamo nel burro, nella mozzarella, nei formaggi e nello yogurt? Dal 1° gennaio per trovare risposta a questa domanda basta leggere l’etichetta. L’Unione europea ha dato il via libera alla richiesta italiana di rendere obbligatoria sulla confezione del prodotto l’indicazione di origine del latte: non solo dov’è stato munto ma anche dove è stato condizionato e trasformato. È una novità non da poco visto che finora questa informazione era disponibile solo per il latte fresco, ma non per quello a lunga conservazione (il cosiddetto Uht) né per il resto dei prodotti lattiero-caseari. Ed era proprio in questa “assenza” che spesso si nascondeva l’inganno per i consumatori: immagini del tricolore in bella vista sulla confezione e nomi che richiamavano esplicitamente l’Italia per prodotti che di italiano avevano poco o nulla, fatti in realtà con latte (o peggio cagliate, ossia semilavorati industriali) di provenienza estera, per lo più lituana, polacca e ungherese.

Straniere quattro confezioni su tre. Una distorsione del mercato e della buona fede dei consumatori denunciata più volte da Coldiretti secondo cui su quattro cartoni di latte a lunga conservazione venduti in Italia ben tre sono di provenienza straniera. E non va meglio con la mozzarella: una su due è fatta con materia prima importata. I numeri del falso made in Italy sono contenuti nel dossier La guerra del latte in cui l’associazione degli agricoltori italiani ha sottolineato, tra l’altro, come dalle frontiere italiane passino ogni giorno 3,5 milioni di litri non solo di latte, ma anche di concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori.

Trasparenza ma anche sicurezza. E la battaglia per la tracciabilità delle materie prime non è solo una questione di trasparenza, ma anche di sicurezza. Infatti, il latte italiano garantisce, nella maggior parte dei casi, prodotti più sani, più freschi e di qualità superiore grazie a un rigido sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari italiana, la più estesa d’Europa.

Come cambia l’etichetta. Finora (tranne che per il latte fresco, già tracciato) era indicato solo lo stabilimento di confezionamento. Ora l’etichetta si arricchisce di informazioni utili al consumatore per fare una scelta consapevole. Se il latte a lunga conservazione o usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari è stato munto, condizionato (ossia pastorizzato) e trasformato in uno stesso paese si usa la dicitura “Origine del latte: nome del paese”. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell’Unione europea, possono essere utilizzate le diciture: “Miscela di latte di paesi Ue per la mungitura”, “Latte condizionato in paesi Ue”, “Latte trasformato in paesi Ue”. Infine, se le operazioni avvengono nel territorio di più paesi al di fuori dell’Unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata si utilizzano le seguenti diciture: “Miscela di latte di paesi non Ue per la mungitura”, “Latte condizionato in paesi non Ue”, “Latte trasformato in paesi non Ue”.

Tracciabilità: prossima tappa la pasta. L’indicazione di origine del latte a lunga conservazione e dei prodotti lattiero-caseari è solo l’ultimo atto di un percorso sulla tracciabilità degli alimenti che è iniziato a livello europeo nel 2000 con la carne bovina, dopo l’emergenza mucca pazza. Nel 2003 è stata la volta della frutta fresca, di cui è obbligatorio indicare varietà, qualità e provenienza, e nel 2004 delle uova e del miele. Inoltre in Italia dal 2005 bisogna indicare la zona di mungitura per il latte fresco ed esiste l’obbligo di etichetta per il pollo, per la passata di pomodoro e dal 2009 anche per l’olio. Il prossimo passo è la pasta: se Bruxelles darà il via libera alla richiesta italiana anche sulle confezioni di questo prodotto, simbolo del made in Italy, sarà obbligatorio indicare la provenienza del grano e della semola.