56esimo Rapporto Censis. Un paese che vive in uno stato di latenza

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L’Italia non regredisce, ma neppure diventa adulta. Riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia e delle crisi in corso, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti. In estrema sintesi è questo il ritratto del nostro paese restituito dal 56° Rapporto annuale del Censis.

«Ci sono tutti i presupposti per prendere atto dell’ingresso in una nuova epoca – spiega Massimiliano Valerii, direttore dell’istituto di ricerca socio-economica, fondato nel 1964 – siamo di fronte a sconvolgimenti, veloci, inaspettati, difficili da metabolizzare: la pandemia, la guerra alle porte dell’Europa, l’impennata dell’inflazione e l’otto volante dei costi energetici. Non basta più l’individuale adattamento con un po’ di furbizia e di cinismo. Il nostro paese è più in difficolta degli altri, perché non cresce abbastanza o non cresce affatto».

Gli Italiani
La quasi totalità degli italiani, il 93%, è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo. Il 69% teme che il proprio tenore di vita sia destinato a peggiorare, e questa percentuale sale al 79% tra i redditi bassi. Il 64% sta già intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. Nell’immaginario collettivo, prosegue Valerii, si è sedimentata l’idea che tutto può accadere: il taglio dei consumi essenziali, la guerra di trincea, o anche la bomba atomica, la paura di essere esposti a rischi fuori dal nostro controllo. L’84% degli italiani è convinto che eventi lontani possano cambiare radicalmente la loro vita.
«Eppure nelle ultime elezioni il primo partito – ricorda Giorgio De Rita, segretario generale del Censis – è stato quello dei non votanti, 18 milioni, il 39% degli aventi diritto. Questo significa che per ampi e crescenti porzioni del ceto popolare e medio non funziona più l’intreccio tra lavoro, acquisizione del benessere economico e democrazia»
A parere del segretario generale del Censis Giorgio De Rita, nella nostra società è cresciuto l’interrogativo «dove siamo?», che suona come uno spaesamento e un rimprovero alla classe dirigente alla quale si chiede di dare segnali chiari verso quale direzione sta andando il paese.

Redditi e lavoro
L’Italia è l’unico stato in Europa che negli ultimi 30 anni non ha visto crescere i redditi da lavoro. L’erosione del potere d’acquisto, causato dall’inflazione all’11%, sta depotenziando gli scudi protettivi che le famiglie del ceto medio hanno usato per difendersi dall’incertezza: il risparmio accumulato e una rassicurante liquidità di denaro. Inoltre, rivela il rapporto annuale del Censis, l’impennata dei prezzi dell’energia, propagatasi velocemente anche agli altri beni (alimentari, casa, trasporti) sta comportando una perdita netta del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. Ma l’inflazione aumenta la forbice della disuguaglianza tra le famiglie meno abbienti, per le quali la crescita del caro vita risulta pari al 9,8%, e le famiglie più agiate per le quali si attesta intorno al 6,1%.

Giovani
Anche i dati demografici non sono confortanti. Tra 20 anni avremo un terzo di ventenni in meno. I giovani saranno pochi e in difficoltà. Nel 2021, in Italia il tasso di occupazione dei lavoratori tra i 15 e i 34 anni era pari a 41% (mentre mediamente nell’Unione europea era il 56,5%). Il reddito medio lordo, a parità di potere d’acquisto, di un giovane italiano di 18-24 anni è inferiore di ben 836 euro a quello di un coetaneo francese, e di circa 6.600 euro al confronto di un giovane tedesco.

Anziani
Dopo essere stati, durante la pandemia, sotto i riflettori e al centro dei servizi sanitari, i pensionati a causa dell’inflazione sono oggi i più esposti all’erosione del potere d’acquisto. Pensando al futuro, solo il 38,7% di loro sente di avere le spalle coperte sul piano economico. La fragilità della loro condizione economica limita o interrompe il cosiddetto silver welfare, il supporto verso figli e nipoti, e alimenta la paura del futuro. Il 35,2% dei pensionati non si sente garantito in caso di malattia e il 45,4% in caso di non autosufficienza. Ma esistono differenze significative nei redditi pensionistici che rendono alcune tipologie di pensionati oggettivamente più esposte ai rischi. Al Sud, le pensioni medie sono di circa il 20% inferiori a quelle del Nord e quelle delle donne sono inferiori di circa il 28% rispetto a quelle degli uomini.