25 novembre. Stop alla violenza contro le donne di tutte le età

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La mobilitazione è cresciuta online. Un tam tam globale e appassionato di appelli, webinar (seminari via Internet) e cortometraggi lanciati in rete. Oggi però, 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, saranno le piazze e gli edifici delle istituzioni pubbliche a colorarsi di arancione per dire basta a una delle più diffuse, persistenti e devastanti violazioni dei diritti umani: la violenza di genere.

Da tempo i coordinamenti regionali e provinciali delle donne dello Spi Cgil lavorano per coinvolgere, in questa giornata di denuncia mondiale, quante più persone possibile in gesti e momenti di consapevolezza. Non è qui possibile raccontare tutte le iniziative che si stanno svolgendo nelle sedi regionali e periferiche del sindacato dei pensionati, ma continueremo a farlo nei giorni a venire. Quest’anno l’Onu (Organizzazione delle nazioni unite) ha deliberato che il 25 novembre sarà la prima tappa di una campagna di sensibilizzazione intitolata “Orange the world” (vedi il manifesto sopra), che durerà due settimane e si concluderà il 10 dicembre 2020.

Dal Nord al Sud d’Italia non si conta il numero di manifesti e volantini diffusi dai coordinamenti territoriali delle donne dello Spi Cgil. La novità sono le decine e decine di video prodotti per le emittenti televisive locali e i social network. Ad esempio, in Emilia Romagna, il coordinamento delle donne ha scelto di puntare il dito sulla violenza economica, un sopruso subdolo e invisibile che colpisce le donne nell’indipendenza e le allontana dalla libera disponibilità delle loro risorse. In particolare, il coordinamento di Reggio Emilia ha girato uno spot di venti secondi  e un video di due minuti in collaborazione con l’associazione teatrale Le Rane. 

Eventi in streaming ­– organizzati anche con la Cgil, l’Auser o l’Associazione nazionale dei partigiani – andranno in onda un po’ ovunque per discutere della condizione femminile. A Genova, per citarne uno, dalle ore 9.00 alle 13.00, il tema è “La vita e il lavoro delle donne ai tempi della pandemia”. Non vanno dimenticati quanti parteciperanno a veri e propri flash mob cittadini (come quello organizzato dalla Camera del lavoro di Perugia) o hanno commissionato opere d’arte e installazioni per ricordare le vittime di femminicidio.

«La violenza di genere non ha età». È questo il titolo del manifesto-denuncia pubblicato dallo Spi Cgil e dal Coordinamento donne Spi nazionale quale contributo alla giornata per l’eliminazione della violenza di genere. Le statistiche raccontano di un dramma che non conosce confini geografici, distinzioni di classe e di età. «Ogni anno, 2.800 donne ultrasessantacinquenni sono vittime di violenze sessuali – avverte il sindacato dei pensionati – e se poi si guarda alle Residenze sanitarie assistite le cifre sono da brividi: 25 mila anziane subiscono maltrattamenti psicofisici». Il fenomeno è soltanto la punta di un iceberg e le soluzioni ci sarebbero – si legge nel manifesto-denuncia – se solo si investisse su figure professionali capaci di riconoscere il rischio di soprusi e di essere un riferimento per i servizi sociali.

«Vessazioni, raggiri, violenze fisiche e psicologiche, privazioni subite dalle donne anziane si consumano spesso nell’indifferenza e nella solitudine – spiega Daniela Cappelli, segretaria nazionale Spi Cgil per il Coordinamento donne nazionale –. Si tratta di un fenomeno frequente ma spesso sottaciuto. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero degli anni trascorsi in condizione di dipendenza, e soprattutto la riduzione delle reti familiari, accentuata dalla crisi economica, incrementano il pericolo di essere vittime di abusi. Servono azioni di sensibilizzazione diffusa e di informazione – riafferma la sindacalista – per educare al riconoscimento del problema della violenza di genere, della violenza sulle donne anziane in particolare, e accompagnare le potenziali vittime verso una presa di coscienza. Ma è anche necessario un nuovo sistema di servizi, strutture adeguate e la formazione degli operatori sanitari al riconoscimento degli episodi di maltrattamento».