25 aprile. Dennis Turrin: io, giovane sono nell’Anpi

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Che cosa induce un trentenne a impegnarsi attivamente nell’associazione partigiani della sua città? E non è il solo. Non temono il ritorno al Ventennio, ma lottano contro quelle condizioni sociali, politiche e culturali che fecero prevalere il totalitarismo

Terra di frontiera. Ho trent’anni e mi dichiaro antifascista. Antifascista militante. Ricopro la carica di presidente della sezione Centro dell’Anpi di Verona. Verona terra di frontiera. Non ho alle spalle un “nonno partigiano” o uno “zio del Pci” che mi abbia avvicinato a questo mondo, eppure ci sono entrato. Certo, ne condividevo i valori ed ero affascinato dall’epopea partigiana. La verità è che cercavo dei “compagni”, nella definizione datane da Rossana Rossanda: quasi reazione all’individualismo nel quale il mondo è immerso e nel quale non mi sono mai sentito a mio agio.

Così il 13 febbraio 2017, in occasione dell’annuale giornata del tesseramento, scelsi di recarmi alla sede provinciale dell’Anpi e iscrivermi. Mi aspettavo di ricevere una tessera e poco altro, invece, da quel giorno, da lì non sono più uscito. A trasformare quel desiderio di appartenenza e quella condivisione di valori in attivismo è stata la conoscenza di un gruppo di giovani che della sezione già facevano parte, che mi ha coinvolto e che si è via via arricchito di nuovi ingressi e di nuove collaborazioni con altre realtà, come le associazioni studentesche, la Rete degli studenti medi e l’Udu, con le quali è nato un rapporto di scambio e condivisione reciproco.

Un valore particolare. La militanza antifascista di un gruppo numeroso di giovani è sempre una buona notizia, ma assume un valore particolare in una città come Verona, che si porta addosso, come una ferita mai rimarginata, il ricordo di Nicola Tommasoli, il ventinovenne assassinato a calci e pugni da cinque neofascisti nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio 2008. Una data che segna un prima e un dopo nella storia dell’antifascismo cittadino. Negli ultimi anni, poi, il “ritorno di fiamma” – è proprio il caso di dirlo – del fascismo ha avuto echi nazionali che si sono sentiti più forti nella nostra città, dove queste associazioni trovano sponde istituzionali che garantiscono loro agibilità politica e spazi fisici, nonostante si tratti di realtà che violano apertamente la Costituzione. Nel parlare di “ritorno del fascismo” non intendo naturalmente il fascismo storico, ma mi riferisco a quelle condizioni sociali, politiche e culturali che permisero già un secolo fa ai disvalori fascisti di prosperare nella società fino a diventare egemoni.

La nostra responsabilità. Spetta innanzitutto alle istituzioni intervenire, da un lato sciogliendo le organizzazioni neofasciste, dall’altro contrastando quelle condizioni materiali che rappresentano terreno fertile per il proselitismo, come ad esempio il disagio giovanile. Noi abbiamo la responsabilità di riuscire a essere più attrattivi e riconoscibili: le associazioni come la nostra vivono un momento di passaggio fondamentale, che ci porta a interrogarci sulla nostra stessa identità.

L’Anpi di Verona ha tentato di rispondere passando dal “semplice” essere antifascisti al fare antifascismo. Non è una sottigliezza linguistica, ma il tentativo di calare la nostra associazione, la sua storia e i suoi valori nel mondo di oggi, senza dimenticare la sua missione fondamentale, cioè la conservazione e la trasmissione alle nuove generazioni della memoria della Resistenza e dei suoi ideali, ma adeguandola ai mezzi e alla realtà propri del nostro tempo, operando sul versante storico, ma anche su quello sociale.

Sento come un grande onore e un’enorme responsabilità l’incarico di presidente della sezione Anpi Verona Centro, la più numerosa della provincia. Non si tratta di un traguardo personale, ma è un primo punto di arrivo per tutto quel gruppo – di giovani, ma non solo – che oggi riconosce l’Anpi di questa provincia come la casa che per troppo tempo era mancata nella nostra città. Un gruppo di persone che sono orgoglioso di chiamare “compagni”.