Pietro Grasso è autore del libro “Il mio amico Giovanni”, Feltrinelli editore. Di seguito ne pubblichiamo uno stralcio, pubblicato nel numero di maggio 2022 di LiberEtà.
Capaci, Palermo, 23 maggio 1992. Alle ore 17,57 di quel sabato di trent’anni fa, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, furono uccisi dall’esplosione di cinquecento chilogrammi di tritolo piazzati dalla mafia lungo l’autostrada che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi. Rimasero gravemente feriti gli altri tre agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista Giuseppe Costanza.
Noi – assidui lettori di questo giornale – eravamo tutti adulti quando, nel 1992, la mafia deviò il corso della nostra storia con una scia di sangue, dolore e morte. Abbiamo ricordi vividi di quella stagione, della paura che si respirava e della ribellione civile che pervase l’Italia in quell’estate di trent’anni fa. Mi sono accorto che è sbagliato dare per scontata questa consapevolezza: è trascorso molto tempo, il mondo è cambiato velocemente e i nostri riferimenti non corrispondono a quelli dei nostri nipoti. Per questo ho deciso di raccontare, con parole nuove, le vicende che ho vissuto in prima linea nella trincea di Palermo negli anni in cui la mafia aveva scelto la strategia più violenta e sanguinaria. Sono convinto, infatti, che soltanto tenendo alta l’attenzione sulla criminalità organizzata e sulla minaccia che rappresenta per la nostra democrazia e per la nostra economia, le giovani generazioni possano crescere più consapevoli e più reattive di quanto non sia stata la nostra. Abbiamo bisogno della loro intelligenza, della loro forza, della loro creatività per continuare a costruire un paese più giusto e più libero. Con piacere, quindi, ho accettato la richiesta di LiberEtà di pubblicare un estratto dal libro Il mio amico Giovanni.
Il dovere della testimonianza. «Dopo le stragi del 1992 ho sentito il dovere e l’urgenza di portare la mia testimonianza nelle scuole e di rivolgermi ai più giovani, per raccontare loro l’impegno e il sacrificio di uomini e donne che hanno perso la vita per contrastare Cosa nostra e che erano stati miei amici, colleghi, maestri. Nel corso degli ultimi trent’anni ho potuto vedere da vicino i cambiamenti nelle ragazze e nei ragazzi che via via ho incontrato. Sono cambiate le mode, i vestiti, il taglio dei capelli, le marche degli zaini e degli astucci. Sono cambiati i gusti musicali, i nomi dei cantanti e dei gruppi preferiti. Siamo passati dai walkman agli iPod fino agli smartphone. Sono cambiati i modelli di moto e scooter, la forma degli occhiali da vista e da sole. Sono cambiati anche i docenti che ogni giorno si dedicano a un lavoro delicato e difficile come è quello di educare i giovani, non solo nelle singole materie ma anche nell’affrontare la vita e le sue sfide. Non sono cambiate, purtroppo, le scuole, troppo spesso in edifici non degni della ricchezza che custodiscono e promuovono».
Un segno indelebile. «Quando ho iniziato, le ragazze e i ragazzi che mi ascoltavano avevano il ricordo diretto di quei momenti di sgomento e di rabbia nell’istante in cui abbiamo appreso la notizia di Capaci e via d’Amelio. Ancora oggi, le persone che incontro trovano sempre il modo per raccontarmi, con emozione sincera, dove erano quando hanno saputo delle stragi, e ciò significa che è rimasto un segno indelebile nella loro vita».
I ricordi diretti vengono meno. «Con il passare del tempo, a poco a poco, i volti e le richieste degli studenti sono iniziati a cambiare: non avevano più ricordi diretti di quei giorni, ma il filo della memoria non si era interrotto, e riusciva a trasmettere il valore e il senso del sacrificio delle vittime di mafia. Negli ultimi anni la sensazione che provo è cambiata ulteriormente: ormai le ragazze e i ragazzi che sono a scuola sono figli di tempi nuovi. Molti genitori non erano ancora nati o erano troppo piccoli per avere impressi nella loro coscienza i sentimenti personali e collettivi di quei giorni».
Un nuovo slancio. «Il dovere e l’urgenza di raccontare ha generato in me un nuovo vigore e un nuovo slancio: ho voluto quindi intensificare gli incontri per raggiungere il più alto «L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza». La Croma marrone sulla quale viaggiavano i tre agenti della scorta fu investita con tale violenza dall’esplosione da essere sbalzata in un oliveto a dieci metri di distanza dalla corsia autostradale. I tre uomini morirono sul colpo. Rocco Dicillo, nato a Triggiano, in provincia di Bari, il 13 aprile 1962 era agente scelto del reparto scorte e tutela della polizia di Stato. Si sarebbe dovuto sposare il 20 luglio. Antonio Montinaro, assistente della polizia di Stato, era nato a Calimera, in provincia di Lecce, avrebbe compiuto trent’anni l’8 settembre 1992. Ha lasciato la moglie e due figli. Vito Schifani era nato a Palermo il 23 febbraio 1965. Al momento dell’attentato era al volante della prima auto di scorta. Era sposato e padre di un bambino di soli quattro mesi che oggi è capitano della guardia di finanza. Il 5 agosto 1992 i tre agenti sono stati insigniti della medaglia d’oro al valor civile. numero possibile di ragazzi, di classi, di scuole, di teatri, di piazze. Temo che il sorriso di Paolo e la scintilla degli occhi di Giovanni possano scolorire con il trascorrere del tempo, che il ricordo di quella stagione di successi e di sconfitte inizi a lasciare tracce meno profonde nel sentire comune, e che questo rischi di portare a una indifferente rassegnazione: il terreno più fertile per le mafie, vecchie e nuove».
Una storia vissuta. «Per evitare che la loro memoria affondi nell’oblio e che si spenga la speranza accesa con il loro esempio, ho deciso di raccogliere i miei ricordi più intimi e riservati per raccontare la vita di donne e uomini che devono far parte della nostra storia. La risposta che incontro in ogni angolo del paese, la curiosità che avverto nelle domande degli studenti, la dolcezza che provo quando ascolto il loro impegno per il futuro, i loro sogni, le loro speranze, mi restituiscono ogni volta quell’ottimismo della volontà che riesce ad abbattere, nonostante tutto, il pessimismo della ragione. So di poter contare su molti alleati: adulti consapevoli, docenti infaticabili, cittadini impegnati, preti volenterosi, politici corretti, giornalisti coraggiosi. E su ciascuno di voi che avete scelto di leggere, in questo libro, il racconto di chi quella storia l’ha vissuta».